norme
Il giuslavorista: basta guardare all'estero, su contrattazione meglio 'modello Italia'
Roma, 3 dic. (Labitalia) - "Le parti sociali sono a un passaggio importante, forse decisivo, per la revisione del modello contrattuale e delle relazioni industriali nel nostro Paese. Basta, però, guardare ai soliti modelli oltreconfine. La risposta migliore è nel 'modello Italia'". E' quanto afferma a Labitalia il giuslavorista Francesco Rotondi, che avverte: "Il nostro Paese si fonda su una molteplicità e una pluralità territoriale. Modelli di contrattazione e relazioni industriali importati da altri Paesi, con caratteristiche differenti, difficilmente potranno funzionare da noi. L’Italia non ha uno spiccato spirito collettivo e generale: siamo la patria delle tante peculiarità che diventano eccellenze nel mondo". "Se questo è il nostro Dna - sottolinea - è 'innaturale' fondare la contrattazione collettiva e le relazioni industriali sulla centralità del contratto nazionale. Il modello va rovesciato. Il contratto nazionale dovrà concentrarsi solo su 6 macro-capitoli, definendo l’essenziale, e tutto il resto dovrà essere demandato alla contrattazione territoriale e aziendale". "Solo con un modello contrattuale vicino alle specifiche esigenze delle tante differenze italiane - assicura Rotondi - è possibile rispondere ai reali bisogni dei lavoratori e delle imprese. Un modello basato su un contratto nazionale snello e su una contrattazione territoriale e decentrata spinta, non coincide affatto, come qualcuno vuol far credere, con un abbassamento delle garanzie, ma, al contrario, significa aggiungerne di nuove. Più siamo vicini al territorio, più siamo vicini alla soluzione". Per Rotondi, il contratto nazionale dovrebbe, quindi, limitarsi a questi 6 temi generali, già regolamentati nella normativa europea, a cominciare dal salario minimo garantito: occorre "stabilire un minimo salariale oltre il quale non è possibile scendere ma allo stesso tempo legato anche al costo della vita dei diversi territori italiani". Sull'orario di lavoro, sostiene, "vanno posti dei limiti oltre i quali non è lecito andare, così come stabilito, tra l’altro, in Europa e nel mondo con le varie Carte dei diritti". "Il come articolare l’orario di lavoro nelle aziende, invece, deve essere totalmente demandato alla contrattazione di secondo livello - aggiunge - e coerente con le novità dei modelli di organizzazione del lavoro dove la prestazione del lavoro è sempre di più valutata sul risultato piuttosto che sul 'cartellino'". C'è poi il tema della sicurezza sul lavoro, "fondamentale e di carattere generale, a cui non è possibile derogare e decentrare", e quello dell'agibilità sindacale: "Le relazioni sindacali vanno sostenute - dice - e non abolite. Il sindacato ha un ruolo di primaria importanza. E’ necessario che venga individuato un modello di organizzazione delle agibilità sindacali in cui a livello nazionale venga definito un pacchetto di ore/tempo minimo garantito per lo svolgimento dell’attività sindacale". Per quanto riguarda salario e costo della vita, Rotondi osserva: "Il ruolo del contratto nazionale sulla parte salariale deve limitarsi alla sola funzione di tutela del potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori rispetto all’andamento dell’inflazione. Il resto della dinamica salariale deve necessariamente essere collegato alla produttività e al luogo in cui si crea la ricchezza, ossia in azienda". Infine, la bilateralità contrattuale nazionale: "Nella logica di un modello di Stato sociale basato sempre di più sull’integrazione tra Stato e privati, la componete contrattuale nazionale di tipo integrativo, soprattutto sulla previdenza e la sanità, è uno dei capitoli decisivi che può essere definito principalmente nella sua dimensione nazionale", assicura. Su questi 6 macro-capitoli il contratto nazionale, ricondotto a soli 4 grandi contratti nazionali di settore (industria, terziario, agricoltura, artigianato), deve stabilire dei principi generali validi per tutti. "Tutto il resto - conclude Rotondi - è demandato alla contrattazione di secondo livello nell’ambito di un cappello normativo già esistente, e mai superato nonostante le polemiche, rappresentato dall’articolo 8 introdotto della legge 148/2011 (decreto Sacconi) che prevede il contratto di prossimità e che permette un nuovo sistema di relazioni industriali e politiche del lavoro ispirate ai principi del modello Italia. Il contratto di prossimità, in sintesi, stabilisce che alla contrattazione aziendale spetta il diritto di intervenire su tutti i temi organizzativi e gestionali dell'impresa anche in deroga alle previsioni dei contratti nazionali".