Mito italiano

E' morto Enzo Jannacci, una vita tra note e poesia

Giulio Bucchi

    di Claudio Brigliadori E' scomparso a 77 anni, nella sua Milano, Enzo Jannacci. Era malato da tempo e se n’è andato alla Clinica Columbus, con tutta la sua famiglia al capezzale. Cantautore, cabarettista, attore e - incidentalmente - anche cardiologo di fama, è stato uno dei pilastri di quello strano miscuglio anni Sessanta tipicamente meneghino. Madonnina e Puglia abbracciate strette strette, tra case di ringhiera e verdurai, cemento arrembante e turni in fabbrica da sfiancare un mulo. Musica sopraffina e parole in libertà, comicità criptica e amarezze accarezzate, ironia lunare e cose concretissime, tra una latteria e un dopolavoro, il jazz e la filastrocca. Con Adriano Celentano e Giorgio Gaber, Cochi Ponzoni e Renato Pozzetto prima, Diego Abatantuono e Teo Teocoli poi, suoi eredi ma soprattutto amici. Su su fino a Quelli che il calcio... di Fabio Fazio, che negli anni Novanta gli regalarono notorietà anche tra i più giovani, che le partite le seguivano non più alla radio ma sulle pay tv.  Da allora, Quelli che è tornato ad essere un tormentone, e lui che quasi si scherniva, con quei “Naaaa” sbiascicati timidamente quando si ritrovava davanti un taccuino o un microfono. Gli pioveva stima da tutti: colleghi, compagni di vita, sbronze e lutti, semplici conoscenti, musicofili, perdigiorno e nostalgici. Basta aver dato un'occhiata allo speciale di Che tempo che fa del 19 dicembre 2011, per capirne il mito. Un mito insieme intellettuale e popolare, piccolo miracolo.   Addio Enzo, che voglia di piangere ho... guarda le foto nella Gallery   Il ricordo sul web - La notizia, arrivata, nella tarda serata di ieri, ha naturalmente scatenato il ricordo commosso di quelli che l’hanno conosciuto. «Era un genio. Le sue parole che non riuscivano a stare dietro ai suoi pensieri, la sua poesia ha inventato un mondo bellissimo», ha detto Fazio. E giù citazioni dai suoi classici, «È volato giù l’Armando», «hai presente un canotto morsicato da un doberman», l’immancabile «che voglia di piangere ho». «Ci ha lasciato un grande artista, un grande milanese - ha ricordato il sindaco di Milano Giuliano Pisapia -. Ha amato Milano, ricambiato». E il Milan, squadra del cuore di Jannacci, apre il suo sito ufficiale con un accorato “Ciao Enzo!”, un pensiero a una “personalità vera, spontanea, originale, estrosa, duttile”.   Milano piange Jannacci. Vengo anch'io, no tu no Guarda il video   Generazione d’oro - Eclettico per definizione, la sua ultima apparizione al cinema è stata nel 2010, per La bellezza del somaro diretto da Sergio Castellitto. Controcorrente, lui ateo (che progressivamente si è avvicinato alla Fede quando vide, parole sue, «la carezza del Nazareno ad un povero operaio stanco sul tram di Milano») non esitò a prendere posizione sul caso di Eluana Englaro, definendo allucinante la decisione di fermare le cure, perché «la vita è importante anche quando è inerme e indifesa - disse al Corriere della Sera -. Fosse mio figlio mi basterebbe un battito di ciglia». Eccolo qua, tutto Jannacci. Ironia della sorte, il musicista Enzo verrà forse ricordato per i pezzi più leggeri di un repertorio immenso e struggente, che ha coperto almeno trent’anni di storia d’Italia. Lo ricorderanno per Ci vuole orecchio, magari. Sicuramente per Vengo anch'io. No, tu no, per esempio, che incoronò la sua prima fase: quella ruspantemente rock'n'roll, scapestrata e un po' demenziale, alla pari del Molleggiato e, appunto Gaber, con cui ha diviso palchi di legno, bicchieri di vino, applausi e sguardi storti tra fumo di sigarette e luci che andavano e venivano. Ma proprio come Gaber, Enzo è qualcosa di più. Amico di Paolo Conte e di letterati altissimi come Luciano Bianciardi, Dario Fo e Beppe Viola (giornalista, sì, ma letterato come pochi), sapeva mescolare spunti minimi e banali, storie di ordinaria mala milanese di piccolo cabotaggio, viste da un balcone o dalla panchina di un parco di periferia, malesseri lievi eppure "generazionali". Negli anni Settanta mette in fila capolavori come Messico e nuvole (firmata da Conte), L'Armando, Faceva il palo, Giovanni il telegrafista, El portava i scarp del tennis. In milanese, il suo milanese. Lingua rude, brusca, col cuore in mano e un sorriso da regalare nei momenti meno prevedibili. Come lui, scontroso, introverso e dai motti di spirito illuminanti.  Dal Derby a Vasco - Dopo un parziale ritiro dai palchi (quasi fosse il quinto elemento dei Beatles, il pianista, ma non rinuncia a incidere album), negli Anni Ottanta arriva a duettare con Vasco Rossi. Lui, che ha suonato con Stan Getz e Chet Baker, si mette a canticchiare Vita spericolata. Robe strane, robe folli, da non spiegare perché in fondo non ce n’è neppure bisogno. Il surreale Jannacci, così come chi lo ascolta, in fondo in testa ha sempre Vincenzina e la fabbrica, uno dei ritratti più commoventi mai dedicati a una donna-lavoratrice nell'Italia del boom. Ricca e povera insieme, patetica senza essere patetica. Da far sorridere, senza sghignazzare. Come al Derby, la culla del cabaret milanese, di cui Enzo è stato uno dei primissimi, più grandi protagonisti. Per dirla con una delle sue canzoni memorabili, Se me lo dicevi prima, che in poche righe riassume il senso di una vita, di chi passa dal dolore più profondo agli sprazzi di luce che, improvvisamente, ti tirano fuori dal buio.  "E allora sarà ancora bello, quando ti innamori, quando vince il Milan, quando guardi fuori. E sarà ancora bello, quando guardi il tunnel, che è ancora lì vicino e non ci credi ancora. Ne sei venuto fuori e non ci credi ancora, e ci hai la pelle d'oca e non ci credi ancora". Già, non ci credi ancora.