Intervista a Libero

Stefano Pain: "Qui i dj italiani li snobbiamo e loro fuggono. Ecco la mia ricetta"

Leonardo Filomeno


Si respira un'aria molto particolare il martedì notte al The Club Milano. Nel locale di Corso Garibaldi il palcoscenico è tutto dei performer del party Fidelio. Mentre in console chi fa gli onori di casa è il dj resident Stefano Pain, veterano del mixer e produttore instancabile. "E' qui che posso toccare con mano l'affetto del pubblico e testare gli umori della pista da ballo. Sicuramente questo è un buon momento per la future house", assicura. La serata è una delle più amate dai nottambuli di tutto il nord Italia, un termometro perfetto per capire a che punto è la notte. Ed è anche il luogo ideale per una chiacchierata a briglia sciolta.


Stefano, giri l'Italia in console e sei un produttore molto corteggiato. Tra le tante etichette con cui hai collaborato spicca quella di Hardwell, il dj numero 1 al mondo. 

"Quake è finita sulla sua Revealed tramite Dannic, che gliel'aveva fatta sentire tempo prima. Con Marco V e Alex Guesta siamo stati molto fortunati, visto che la traccia è uscita nel 2013, anno in cui Hardwell ha raggiunto il primo posto nella classifica di DJ Mag. Il secondo importante tassello è stato l'inserimento nella colonna sonora del film Dom Hemingway con Jude Law. Pure Ran Tam Tam ha regalato a me e ad Alex soddisfazioni enormi. Sono un fan degli Swedish House Mafia e vedere questa produzione nelle playlist di quasi tutte le date del loro tour, nella raccolta One Last Tour e nel film che racconta la loro storia è stato emozionante".

Anche Robbie Rivera ormai è un amico. 

"Sulla sua etichetta è appena uscito Control, con i Delayers, con i quali sono già a lavoro sul seguito di questo pezzo. Tra un po' arrivano un mio featuring con Rivera e un remix per un suo singolo".  

Che differenza c'è tra il loro modo di lavorare e il nostro? 

"Se devi far sentire un disco a Rivera o ad Hardwell, sai qual è il loro genere di riferimento, mentre le nostre case discografiche sono generaliste e puntano quasi solo sulle licenze. Un brano che arriva dall'estero, oggi, ha una risonanza maggiore. E nel mercato discografico mondiale la parte del leone la fanno per lo più le etichette straniere".

Fino a 15 anni fa accadeva l'esatto contrario. 

"Da noi c'era un margine di investimento, che è sparito. Non è tutta colpa delle etichette. Tu investi tempo e denaro su un artista e lo fai crescere, ma se alla prima occasione lui va all'estero, a cosa serve? Il primo passo sarebbe quello di bloccare gli artisti con un contratto e con delle penali. L'Italia non ha una sua identità. In pochi credono in un progetto e lo portano avanti fino in fondo".

Come lo capisci se un artista è davvero forte? 

"Quando piazza una hit dopo l'altra, come hanno fatto Benny Benassi, Bob Sinclar o David Guetta. Oggi, per lanciare un giovanissimo sul palco dell'EDM, basta una traccia discreta nelle mani dell'etichetta giusta. Se poi dietro c'è del marketing ben fatto, ancora meglio. La cosa va a discapito dei big solo fino a un certo punto, perché questi restano al top grazie alla loro storia. I giovanissimi, se non lasciano il segno, rischiano di sparire con la stessa velocità con cui sono emersi. Comunque, tra i dj della nuova generazione, Hardwell e Alesso sono sicuramente dei purosangue. Colleghi come Dannic o Dyro non sono ancora a quel livello, diciamo che devono crescere molto". 

Dalle parti della DJ Mag Top 100, per esempio, il marketing fa tanto. 

"Non mi spiego come mai non ci siano artisti come Nari & Milani, la cui Atom è stata una delle tracce più suonate negli ultimi anni. Idem per Calvin Harris, le cui hit sono conosciute da tutti: come fa ad essere fuori dalla Top 10, mentre Dimitri Vegas & Like Mike sono secondi, senza una sola hit? Il marketing genera confusione. E finisce per spostare degli equilibri fondamentali". 

Eppure questi nuovi nomi fanno gola a chi gestisce i club. 

"Spendere 200 mila euro per Guetta o Avicii ha senso, visto che hai un ritorno. Sganciare tra i 20 e i 50 mila euro per un dj di medio livello, spinto in alto col marketing, è folle, perché spesso non vale quella cifra. E' un trend che ammazza i locali. Ma è solo questione di tempo: questa situazione non potrà andare avanti ancora per molto".