Palazzo Marino

Milano vieta il fumo? L'ultima buffonata di Sala: neppure una multa

Antonio Castro

«Fumare distanziati, inquinare meno, incassare qualche spicciolo in più». Avete presente la trovata del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, di vietare il fumo all’ombra della Madonnina?
Per il momento l’idea ha sortito più paginate di polemiche e d’inchiostro. Ma nemmeno una multa è stata comminata. Palazzo Marino - fa di conto Il Sole 24 Ore di ieri - non ha visto, a ben 10 giorni dall’entrata in vigore del divieto, - neppure un verbale. Tantomeno un centesimo.

La campagna dissuasiva lanciata - con supporto di gran cassa mediatica dal Comune di Milano- evidentemente non è sanzionare quanto “indirizzare” i cittadini. Dal primo gennaio è entrato in vigore quanto già previsto dal “Piano Aria e clima” approvato dal consiglio comunale nel 2020 e messo in pratica (a rate) nel 2021. Già allora erano stati introdotti i primi limiti ai fumatori nei parchi, all’interno degli impianti sportivi e nei cimiteri, ad eccezione degli affezionati alle sigarette elettroniche. Da gennaio il divieto è stato esteso a tutte le aree pubbli che o «a uso pubblico incluso le aree stradali», con l’eccezione di «luoghi isolati dove sia possibile il rispetto della distanza di almeno 10 metri da altre persone». L’ammenda, teoricamente, dovrebbe viaggiare dai 40 a 240 euro. Se però siete soliti “spippettare” le sigarette elettroniche dovreste viaggiare tranquilli e sereni.

Il divieto introdotto dalla giunta di centro sinistra sicuramente un risultato lo ha partorito: contestazioni, malumori e polemiche. Le associazioni degli esercenti di locali pubblici (come la Confcommercio di Milano), parla di battaglia ideologica non basata su elementi scientifici. Di tutt’altro avviso l’Arpa Lombardia - l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente - secondo cui «il fumo delle sigarette è responsabile del 7% delle emissioni di polveri sottili».

Sarà. Ma da ex grande fumatore (una quarantina di sigarette al giorno dai 16 ai 50 anni), ammetto di non intuire il senso del divieto se poi non si applicano neppure nel periodo iniziale le relative sanzioni. Ricordate la campagna per convincere gli italiani al volante a non usare il cellulare al volante? E prima ancora quella per costringere gli automobilisti a mettersi la cintura di sicurezza? Cominciarono a fioccare le multe. Ma ci volle del bello e del buono per farne un fenomeno di massa. A Napoli misero in commercio - per ingannare i posti di blocco - la maglietta bianca con la striscia nera che simulava la fascia.

Premesso che se mi metto al volante senza indossare le cintura di sicurezza è probabile che, andando a sbattere, possa farmi più male del previsto. E potrei in questo caso rappresentare anche un pericolo per gli altri. E quindi è intuibile il rigore con il quale è stato imposto agli indisciplinati automobilisti italiani l’obbligo.

Per il divieto di fumo di prossimità il Comune di Milano ha fatto trapelare che più di una scelta per fare cassa si è trattato di un “sollecito” per educare ad un nuovo stile di vita. Non a caso la vicesindaca di Milano, Anna Scavuzzo, aveva già commentato il primo giorno dicendo che «non si fuma dove si arreca danno agli altri, c’è bisogno di tempo per cambiare le abitudini ma confidiamo nel senso civico».

C’è poi da dire che i Ghisa dovrebbero essere dotati di metro d’ordinanza per verificare il rispetto dei 10 metri di distanza. E se poi il fumatore la spegne? O se la lancia via? Cosa gli fanno? Un test del Dna per accertarne la proprietà genetica del mozzicone? Segnalo sommessamente al sindaco Sala che in testa ai binari della stazione centrale ci sono apposite aree fumatori. Forse invece di montare tutto questo can can mediatico Sala avrebbe fatto prima ad allestire aree fumatori. Come negli aeroporti. Fanno schifo, puzzano, è un concentrato di tabagisti che fanno il pieno di nicotina prima del decollo. Scelta loro. Ma bisogna educarli?