Quattro generazioni

"Merceria", tutto iniziò nel 1945: la bottega storica dove anche i bottoni sono poesia

Massimo Ferrarini

Si chiama semplicemente “Merceria”, un nome che non è mai cambiato dal 1945. Quattro generazioni dietro il banco del negozio di Via Piero della Francesca 29. Oggi Marco Pedrini, 70enne seduto in un angolo della bottega, dialoga con i clienti serviti dalla figlia Katia e dal nipote Riccardo, che offrono migliaia di varianti di bottoni, filati ma non solo...

Il vostro negozio ha 80 anni di storia, ci racconta come tutto è iniziato?
«Nel 1945 mia mamma passando in questa via, vide un negozio libero ma completamente bombardato. Appassionata di sartoria, il suo sogno era quello di aprire una merceria con lo scopo di aiutare i giovani a cucire, e così, insieme a mio padre aprirono il negozio il giorno di S. Ambrogio, il 7 dicembre 1945, io avevo 6 anni. Mio padre era responsabile delle macchine da cucire della Rinascente intenzionato a continuare il suo lavoro finché il negozio non fosse avviato. La famiglia andava mantenuta. L’attività raggiunse l’autosufficienza dopo circa 6 anni e mio padre potè dedicarsi anche lui al negozio. Io ci venivo tutti i pomeriggi a fare i compiti e a respirarne l’aria, poi finita la scuola diventò il mio lavoro, inizialmente facevo anche il rappresentante di cerniere lampo, visitavo tutte le mercerie di Milano e rubavo idee».

Perché vi siete specializzati in bottoni?
«Negli anni 50-60-70 c’era molto artigianato e molti dei nostri clienti erano sarti e sarte che non potevano mettere sempre gli stessi bottoni ai vestiti degli stessi clienti, questo ci costringeva ogni sei mesi a rinnovare i campionari, quello estivo e quello invernale, oltre ai flash intermedi per novità che arrivavano magari da Parigi».

Siete arrivati oggi alla quarta generazione, come si trasmette la passione?
«Non si trasmette, c’è o non c’è. Ho avuto la fortuna di avere una figlia appassionata che mi ha seguito, oggi c’è anche mio nipote, giovane e molto bravo nella comunicazione, realizza molti video dove io stesso partecipo come attore, siamo riusciti in un solo anno ad avere 17mila contatti. Pensi che un solo video sui bottoni di madreperla ha avuto 80mila visualizzazioni».

Quali sono le principali innovazioni che ogni generazione ha apportato?
«Le innovazioni hanno seguito il cambio della clientela, inizialmente formata da professionisti, poi siamo passati ai privati che vanno seguiti a seconda dei loro umori e delle loro esigenze, c’è stato il periodo dei ricami, ora stanno andando bene i filati come la lana, il cotone, la raffia, i filati artificiali; mia figlia organizza corsi di uncinetto ai giovani che vogliono avvicinarsi a questa pratica. Dico sempre che in questo negozio dalla nascita alla morte c’è tutto. Mia figlia mi ha sgridato perché un tuo collega giornalista mi chiese: mi definisca il negozio. Risposi: “Dalla culla alla bara”, perché vendo i fiocchi di nascita e le lenzuola per le esumazioni dei defunti».

Oggi tradizione e innovazione sono presenti nei vostri video sui social, di cui lei e sua moglie siete i veri protagonisti, è stato difficile convincervi?
«No, assolutamente, con mio nipote c’è un bellissimo rapporto, vorrei aiutarlo di più ma devo dosare le mie forze».

Negli ultimi anni la merceria è tornata di moda, anche fra i giovanissimi, avete notato anche voi questa tendenza?
«In verità a mio avviso non è mai passata di moda, è un negozio che funziona se l’assortimento è profondo, non si può gestire una merceria pensando di avere poca merce, la nostra forza è di avere molti articoli anche in grandi quantità. Ti faccio un esempio, la regione Lombardia per un evento aveva bisogno di 600 metri di nastro di raso verde, ne avevo solo 150, in poco tempo li ho procurati. Ho una cliente che viene da Toronto 3 volte l’anno, vende tessuti e viene da noi per comperare bottoni e guarnizioni».

Anche lavorare a maglia è tornato di moda, infatti so che voi fate corsi per lavorare ai ferri. Come è nata questa idea?
«Negli anni 70-80 nel negozio dove ci troviamo ora avevamo un piccolo spazio che utilizzavamo per fare i corsi, lei insegnava il punto croce e il decoupage, io il taglio sul polistirolo, li facevamo alla sera due/tre volte la settimana per dieci persone. Oggi abbiamo ricominciato a farli».

Quali sono i prodotti più richiesti?
«I bottoni, anche da uomo che è diventato molto più esigente, poi anche i filati».

Cosa vi distingue dalle altre mercerie della città e cosa vi ha permesso di rimanere aperti in tutti questi anni?
«Se uno chiude un’attività come questa è perché non ha ricambio generazionale, se non avessi avuto una figlia e oggi un nipote appassionati avrei chiuso».

Voi siete molto attivi nel sociale, lei quest’anno ha ricevuto anche il “panettone d’oro”, a livello di società, cultura comune e politica, quali sono gli aspetti sui quali c’è ancora molto da lavorare?
«Nella mia vita è successa una cosa grave ma anche bellissima. A 25 anni mi nasce una figlia che a causa di un incidente diventa disabile mentale, da quel momento la mia vita è cambiata. Da allora mi sono sempre occupato delle persone affette da disabilità mentale. Mi sono impegnato in un’associazione che aveva un solo un dipendente e l’ho lasciata con oltre 150. Ho avuto due genitori stupendi che mi hanno permesso di dedicare molti anni alla vita associativa e alla fondazione Anffass».

Mentre sto per salutare si inserisce il nipote Riccardo entusiasta di portare avanti un mestiere diventato tradizione, «purtroppo Milano di tradizioni ne sta perdendo tante». Come dargli torto.