Il caso a Milano
Gli studenti anti-Usa vestono all'americana ma non vogliono la band dei marines
La domanda non è se hanno torto o ragione. La domanda è: perché? Perché prenderli tanto sul serio i teenager che scalpitano contro gli Stati Uniti e poi vestono H&M? I ragazzi che vedono Satana in Usa ma parlano l’italiano anche peggio dell’inglese? Quelli che mangiano McDonald (ancorché bio) e studiano la storia su Instagram? Ed ecco, il caso di cui parliamo – lo sapete – è quello del concerto della banda della Marina militare americana al liceo Einstein di Milano. Scuola dove, nel giorno che ricordava la fine della Prima guerra mondiale, e cioè lunedì – data che celebrava pure l’unificazione nazionale nonché le Forze armate – sul palco dell’auditorium saliva la Flagship band della U.S. Naval Forces Europe and Africa Band. Ovvero l’orchestra di fiati dei Marines. La quale, neanche il tempo di esibirsi, era preceduta sui social dallo scalpitante Collettivo Politico Einstein.
Per intenderci: dai capelloni che fanno i moderni – chiamandosi Gen Z – e nondimeno si sentono sempre negli Settanta (ma perlopiù a mezzo social). Loro che rimpiangono tempi mai vissuti e che, giusto ieri, mischiavano bandiere e storie le più diverse sostenendo che il concerto andasse vietato in quanto «presa di posizione ideologica inaccettabile». Presa di posizione che nel mondo adulto, tuttavia, si chiama all’incirca storia e geografia. Presa di posizione che si chiama politica o, per dirla col linguaggio corrente e un po’ sciamanico di TikTok, geopolitica. In poche parole: asse di alleanze assai risalenti, legami tra popoli e stati. In una parola sola, ancora: occidente (qualunque cosa significhi).
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Occidente che per automatismo va attaccato, satanizzato, irriso. Occidente che va avversato benché non c’entrino torti e ragioni – che a cinque anni (figurarsi a diciotto) la maestra dice che non stanno mai da una parte sola – quanto i riflessi condizionati. Gli automatismi, appunto, per cui i Marines sono brutti fintantoché si portano i jeans strappati. Ma ecco che in tutto questo, adesso, la domanda è una sola ed è sempre la stessa: perché prenderla al punto sul serio la Gen Z capellona? Perché invischiarsi in un botta e risposta – quando si sa che ci sono le botte ma non le risposte – come fa il preside dell’Einstein? Il dirigente che col Collettivo s’è messo a tu per tu chiedendo, nientemeno, un “documento con le loro ragioni”. Uno scritto “ragionato” che però non è mai pervenuto. Forse perché la soglia di argomentazione non può sfidare i caratteri e gli emoticon di TikTokTak.
Comunque, il vero tema , anche qui, come sempre, non sono i giovani fisiologicamente ignoranti ma gli adulti psicologicamente svaniti. Non i capelloni di Pavolv, ma gli attempati che vi accorrono col campanellino e suonano, per dirla con Alberto Arbasino, le solfe millenaristiche della speranza nei giovani. Quanto ai giovani, invece, passi l’antiamericanismo (fuori tempo massimo). Ma se è così non sarebbe il caso di smetterla di ascoltare Taylor Swift e forse, diciamo forse, convertirsi al Tycoon? Dopotutto – consigli non richiesti – se non vogliono l’esercito americano per il mondo non devono far altro che tifare Trump.
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