Il commento

Milano? La città non è persa: si riconquista solo guardando al centro

Massimo Sanvito

"A Milano è dura vincere...". Così sussurrano in non pochi negli ambienti del centrodestra dopo lo spoglio delle Europee. Certo, la somma dei partiti che sostengono Beppe Sala fa impallidire (55 per cento, contro il 36,6 che hanno messo insieme Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega) ma c’è un mondo, quello dei centristi (Italia Viva, +Europa e Azione), che unito vale quasi il 13 per cento e resta in cerca di casa. La deriva rosso-verde del campo progressista - Avs in città è il terzo partito col 10,5 per cento e la più votata del Pd (45mila preferenze) è stata Cecilia Strada, espressione diretta della sinistra-sinistra modello Schlein - non può far altro che allontanare renziani e calendiani.

Soprattutto se il prossimo candidato sindaco sarà Pierfrancesco Majorino, calamita perfetta di quella galassia radical-antagonista che non piace per nulla ai moderati. Ve lo vedete un Daniele Nahum, fuoriuscito dal Pd per i contrasti sulla guerra in Palestina, andare a braccetto con chi strizza l’occhio ai centri sociali e agli ultras pro Gaza che sbraitano al genocidio israeliano? Certo, direte voi, ma Renzi, Bonino e Calenda mica sono di destra... Vero, ma alle Comunali a fare la differenza è il candidato sindaco. Ed è qui che il centrodestra deve mettere in campo una personalità in grado di intercettare il voto centrista col quale giocarsi la partita fino in fondo, specie se il Pd deciderà di puntare su Majorino.

 

Senza i voti, contendibilissimi, di quello che fu il Terzo Polo è praticamente impossibile vincere: c’è poco da girarci attorno. Lo stesso Sala, ieri, lo ha detto a chiare lettere: "Giorgia Meloni parla di una restaurazione del bipolarismo puro. Lei ha un centro, Forza Italia, che ha ottenuto un buon risultato, noi no. Io ripeto quello che sto affermando da tempo: senza il centro non si vince". Beppe commentava l’esito del voto in chiave nazionale ma lo spostamento dell’asse milanese verso la sinistra radicale lo preoccupa e non poco. Il centrodestra, dunque, ha le armi per tornare a Palazzo Marino nel 2027 dopo 15 anni. Basta sfruttarle senza perdersi troppo nelle ideologie di bandiera.