L'intervista

Milano, il questore Petronzi: "Il vero allarme in città sono i giovani violenti"

Simona Bertuzzi

Ogni mattina nella questura di via Fatebenefratelli si lavora come forsennati. Via vai di auto della polizia che entrano e sgusciano dal portone principale. Poliziotti con lo sguardo serio che accolgono i nuovi venuti scrutando dentro tasche e visi anonimi. Un agente parla con un immigrato all'ingresso "ce l'ha il permesso di soggiorno?". Un altro accompagna un ragazzo stralunato coi pantaloni stretti e il capello tinto di biondo "passi lo zaino sotto i metal detector, prego". Dalla strada intanto rimbalza la solita litania di notizie pessime che puntualmente si disperdono o ingigantiscono nei taccuini dei cronisti del giro di nera. Scippi, borseggi, il tizio che sfila il Rolex al turista sprovveduto, la ragazzina molestata sul bus. Qui nulla passa inosservato e la realtà perde la finzione del racconto e diventa cupa, maleodorante, talvolta minacciosa... magari ha la faccia di un ragazzetto di quinta liceo che ha pestato un 14enne perché era annoiato. Il questore Giuseppe Petronzi ci accoglie nell'ufficio con la borraccia piena d'acqua fresca. Viene da Trieste ma prima ancora è stato a Torino, ha diretto l'antiterrorismo e ha preso parte a importanti operazioni contro le nuove Brigate Rosse e i movimenti antagonisti. Dico questo perché a domanda "ma i centri sociali di Milano sono ancora un problema?" lui risponde pacato «ho conosciuto gli antagonisti di Torino e sono ben altra cosa». L'incontro avviene a una settimana esatta dalla pubblicazione dei dati sulla criminalità che hanno fatto balzare Milano ai vertici delle classifiche per reati denunciati.

È allarme sicurezza questore?
«Per il questore di Milano anche un solo portafogli rubato merita attenzione in quanto la sensazione della singola persona comprensibilmente non muta se gli dovessi dire che il trend del reato che lui ha subito è in diminuzione».

Quindi?
«Quindi la chiave di lettura che le do è rispettosa del cittadino che vuole vivere una quotidianità sicura. Bene che a Milano si denunci di più, e mai mi permetterò di confutare i fatti con la declinazione di dati favorevoli sul piano della repressione dei reati. Ma dobbiamo lavorare per un livello, benché utopistico, di sicurezza assoluta».

L'impressione però è che Milano abbia perso un po' la rotta. Il personale Atm ha incrociato le braccia per le troppe aggressioni.
«E dobbiamo inquadrarlo in una propensione alla violenza di carattere generale che si declina in vari segmenti e in tutto il tessuto della città. Quello del trasporto è un ambito delicato, pensi solo alle centinaia di migliaia di persone che ogni giorno prendono i mezzi pubblici. I lavoratori giustamente rivendicano il diritto ad operare in condizioni di sicurezza».

Atm ha messo in campo la security ma ha pochi poteri e non basta.
«Il prefetto si è preso a cuore il problema. Ed è bene ribadire che a Milano e solo a Milano esiste la polmetro ovvero una nostra articolazione dedicata alla sicurezza in metropolitana».

Di quanti uomini parliamo?
«Una quarantina di unità impegnate esclusivamente in questa attività. Si può fare di più? Io come titolare del servizio posso solo dire che quei ragazzi fanno un eccellente lavoro».

Forse non basta.
«Si renderà conto che su una rete ampia come quella di Milano non possiamo escludere che accada qualcosa dove loro non sono presenti. Le do però qualche numero. In tutto il 2021 la polmetro ha effettuato 66 arresti. Nei primi 9 mesi del 2022 siamo già arrivati a 67. Siamo stati più bravi perché ne abbiamo arrestati di più o il fenomeno si è palesato maggiormente? Evidentemente il combinato disposto di questi due fattori ha portato a questo risultato».

Però sulle borseggiatrici rom in metrò continuano a fioccare le denunce.
«E le rammento che c'è stata la revisione di una circolare della procura della repubblica che in qualche maniera creava qualche imbarazzo operativo verso le donne incinta. Da quel momento la situazione si è temperata».

Venivano a Milano per rubare perché sapevano di non finire dentro?
«Consideravano la realtà milanese più favorevole per fare i loro affari criminali».

Parliamo di baby gang. Ogni giorno ne spunta una.
«E in effetti stiamo registrando una maggiore aggressività giovanile. Però a Milano abbiamo avuto fenomeni strutturati di gang come le pandillas sudamericane. Allora dobbiamo fare una scelta lessicale: se chiamiamo gang le pandillas, non possiamo dare la stessa definizione a questi fenomeni di carattere giovanile che esprimono aggressività e violenza. Sono cose differenti e non lo dico per depotenziare il pericolo. Tutt altro. Mentre le pandillas sono strutturate, si distribuiscono i compiti, hanno filoni criminali consolidati e un radicamento sul territorio, questi ragazzi hanno meno vincoli e diventano più imprevedibili e pericolosi».

È di pochi giorni fa l'arresto del trapper Baby Gang. Avevate chiesto la sorveglianza speciale per lui e il tribunale l'ha rigettata.
«Io avevo chiesto una sorveglianza speciale che è stata legittimamente rigettata. E dopo che è stata rigettata questo signore ha fatto ciò che sappiamo. È da valutare se quello strumento di natura preventiva avrebbe potuto mettere un argine. Pongo la questione in termini problematici: non critico chi legittimamente ha respinto la mia proposta, però è un fatto che questo individuo ha continuato a delinquere ed è stato arrestato. Sono quei casi in cui si preferirebbe non avere ragione. Sono obiettivamente fenomeni nuovi su cui è giusto confrontarsi e affinare le capacità di risposta per garantire la sicurezza».

Un tempo si temevano le periferie, ora anche il centro sembra zona franca.
«Fare una mappatura è difficile. Ma le dico che sul centro è stato fatto un lavoro specifico anche successivo ai fatti di Capodanno. Si è lavorato pancia a terra in tutto il quadrilatero e anche in prossimità della Loggia dei Mercanti per 4 mesi e mezzo per cercare di capire chi la frequentava e per adottare tutti gli strumenti possibili di intervento che abbiamo a disposizione. Abbiamo implementato i controlli in una maniera esponenziale, e moltiplicato i provvedimenti dell'autorità di pubblica sicurezza che sono i daspo. Ho sentito dire spesso: eh ma ci vogliono i daspo! Ebbene la nostra città è in cima alla classifica per daspo emessi. Sono tantissimi, e a Milano sono uno strumento efficace perché facciamo anche una profilassi successiva di controlli».

Quali altre misure avete adottato?
«Solo nel 2022 abbiamo messo in atto 815 misure di prevenzione. Tra queste rientrano 156 fogli di via obbligatori; 128 divieti di accesso alle manifestazioni sportive, 246 avvisi orali; 223 divieti di accesso alle aree urbane; 60 divieti accesso ai locali pubblici, 583 ordini di allontanamento».

Molti degli episodi di criminalità hanno per protagonisti immigrati irregolari. La rissa in Centrale a luglio, col calcio sferrato in testa al ragazzo straniero, e le immagini della vittima insanguinata che hanno fatto il giro dei social, ne è l'esempio.
«Guardi, la polizia lavora sullo spartito urbanistico e sociale che trova... Ogni giorno se va in via Montebello non conta meno di 400 persone che entrano nei nostri uffici per i più svariati motivi: richiesta del permesso di soggiorno, rinnovo del permesso, protezione internazionale, asilo politico, emergenza ucraina. Non si parla quasi più di questo ma la questura ha assorbito l'emergenza ucraina senza nessuna ricaduta sul territorio. Le dico di più: abbiamo aperto un secondo sportello immigrazione e messo in campo le attività necessarie per processare tutte le posizioni degli stranieri dal punto di vista amministrativo con investimenti di risorse pazzesche».

Troppi pochi uomini, come dicono i sindacati?
«Il sindacato esprime una posizione che il Questore deve rispettare ma io posso solo dire che tutte le risorse che mi sono state assegnate le impiego al massimo della loro capacità».

E i numeri vi danno ragione?
«Pensi che lo scorso anno abbiamo arrestato 4mila persone, quasi undici al giorno, solo come polizia di stato».

Però la gente ritiene che ci siano poche pattuglie, soprattutto la notte.
«Abbiamo non meno di 16/17 pattuglie ordinarie alle quali si aggiungono le unità della squadra mobile della digos su ogni quadrante orario per le 24 ore».

Le garantisco che noi donne continuiamo ad avere paura.
«In effetti ci sono dati oggettivi di una propensione alla violenza sulla donne in una gradazione che va dalla molestia all'aggressione per strada, fino all'abuso domestico su cui la divisione anticrimine ha strumenti legislativi come il codice rosso o preventivi come il protocollo Zeus per il recupero degli uomini violenti. Tenga conto che Milano è una città particolare».

Ovvero?
«Le persone che vivono la nostra città mutano nelle 24 ore e noi dobbiamo avere la capacità di lettura e di intervento di una metropoli che si trasforma. Le tipologie di reati che si commettono cambiano in base alla fascia oraria e anche in termini spaziali. Basti pensare a quello che avviene vicino alle discoteche...».

La famosa malamovida.
«Ci sono stati almeno due titolari di discoteche che hanno detto "chiudo il locale, non per problemi di sicurezza o perché manchi la polizia all'esterno" ma perché esasperati da ragazzi che non si regolano più. Parliamo di navigati titolari di esercizi che si stanno fronteggiando con un'utenza che ha una propensione all'aggressività e alla mancanza di disciplina estremamente pronunciata. Se ad esse aggiungiamo forme di alterazione alcoliche o psicotrope si realizza una miscela esplosiva».

I giovani sono tutti armati... è vero anche questo?
«Senza arrivare alla scimitarra trovata ai trapper, procurarsi un coltellino è facile. E la dice lunga sulla volontà di attrezzarsi alla violenza. L'altro giorno un giornale ha pubblicato ed esecrato la sedia di un locale di corso Como cui erano stati rotti due piedi su 4 facendone un'arma di aggressione. Anche in quel caso, in un attimo, è esplosa la violenza».

Impossibile stare dappertutto?
«Mettiamoci d'accordo. Io nel mio contratto ho che devo andare dappertutto e mi impegno ad andare dappertutto, quindi le dirò sempre che i poliziotti che ho li "stresserò" al massimo e voglio dare il meglio sul piano operativo e della risposta. Ma io so che alla fine di ogni giornata i miei ragazzi sono rientrati con la maglia sudata e hanno dato il massimo che potevano dare, tenendo conto di quelli che sono gli strumenti a disposizione».

Chi commette violenza oggi si filma...
«Questa è una violenza agita e filmata anzitutto dai protagonisti. È un'aggressività di cui si fa sfoggio, molto diversa dall'aggressività di un tempo, quando si commetteva violenza e non si voleva essere visti. Ma anche la gente è cambiata. Prima condannava l'aggressione per strada o il tizio che non pagava il biglietto. Oggi non è più così».

La fanno arrabbiare i cittadini che filmano e non denunciano?
«L'ho detto e lo ripeto. Mentre filmi vuoi chiamare anche la polizia? Perché qui abbiamo persone che hanno esecrato, con i video, fatti per cui la polizia non è intervenuta e alle medesime persone abbiamo chiesto "scusi, ma lei ha chiamato la polizia?" Risposta: no. Allora dobbiamo capire qual è la quota azionaria di ogni cittadino nel sentirsi strumento di sicurezza e non solo strumento di denuncia del fatto. È un fenomeno sociale, non solo milanese. A Macerata hanno ucciso una persona e chi assisteva era più impegnato a filmare che a bloccare la violenza. Che non vuole dire sostituirsi alla polizia, sia chiaro. Mi metto però nei panni di una vittima: si sentirebbe più rassicurata da 10 persone che stanno filmando l'aggressione in suo danno o da 10 persone che senza sostituirsi alle forze dell'ordine dicessero all'aggressore "ma tu che cosa stai combinando?».

Torniamo alle violenze di Capodanno. In quella piazza cosa è successo?
«E' stato un fatto gravissimo, la cui percezione purtroppo è stata differita nel tempo. Lei ricorderà che quella sera su Skytg24 chiudevano il collegamento da piazza Duomo dicendo che era andato tutto bene... Tenga conto che avendo intuito che c'era qualcosa che non andava, avevo fatto perimetrare tutta la piazza senza che ci fosse un evento o nulla di annunciato ma nella consapevolezza di dover limitare gli accessi e i rischi. Benché si fosse fatto ciò, quei soggetti si sono avvantaggiati del clima di euforia, rumore ed entusiasmo collettivo. Mi faccia però dire che il sistema Milano è riuscito in pochissimo tempo a intervenire e identificare i responsabili. Dopo nemmeno un mese dai fatti sono scattati gli arresti».

C'è un rischio banlieue a Milano? Si è parlato di italiani figli di immigrati che dalla periferia vengono in centro a delinquere.
«È un dato di fatto che se andiamo adesso in piazza Duomo non sono tutti residenti nel centro di Milano. Prima di parlare di rischio banlieue noi dobbiamo fare i conti con una città fortemente attrattiva. Quella sera un gruppo di ragazzi di Torino aveva deciso di venire qui. Il che contribuisce a complicare le cose perché l'apparato di sicurezza non lavora sugli attori più tradizionali che conosce. È lo stesso meccanismo degli ultras del calcio che fanno i danni quando vanno in trasferta perché se li commettono in casa io lo conosco e li identifico».

Vede un rischio razzismo in queste bande giovanili?
«Direi di no. C'è piuttosto una spoliazione ideologica... Dopo 24 anni di digos vedo un nichilismo che è la spiegazione di tante cose compreso il non vergognarsi più delle violenze».

Giusto invocare il ritorno dell'esercito a Milano?
«Legittimo usarlo come tema. Ma l'esercito a Milano non è mai andato via. Altro tema è eventualmente discutere delle quantità».