Il commento

Addio al cinema Apollo condannato dai suoi film impegnati

Nicoletta Orlandi Posti

Negli scorsi giorni una brutta botta, il cinema Apollo, uno degli ultimi templi della settima arte a Milano chiuderà i battenti per far posto al cubo di vetro e acciaio della Apple. E siccome le brutte botte non arrivano mai sole, è possibile la sparizione a breve termine anche dell’Odeon. In altre parole, quella che fino alla fine del secolo era chiamata la «golden city» del cinema, dal Duomo a San Babila, rimarrà al buio. Ingroppisco. Se fossi ancora lo scapolo provincialotto di 40 anni fa che s’infilava ogni sera nelle sale per combattere le frustrazioni di una città (all’inizio) nemica, forse mi accopperei. Nel frattempo Milano è diventata (quasi) amica ma il groppo rimane perché nel mio amarcord (e non solo mio) l’Apollo rimane memoria indelebile. Ero uno studente e venni a Milano (a mie spese) per vedere Il gattopardo con Burt Lancaster. Ero un giovanissimo critico ed ebbi il mio battesimo alla grande col Ludwig di Visconti. Il direttore d’allora, il grande Nino Nutrizio, mi disse “bravo” e qualche collega mi denunciò al Sindacato Critici perché avevo recensito con un giorno d’anticipo. All’Apollo (il film mi pare fosse Il sanguinario) insegnai alla mia quasi moglie milanese doc come ci si comporta (cioè si pomicia) nelle sale di provincia. Era la metà degli anni ’80 e con la chiusura decine di sale cittadine sembrava arrivato l’anno zero per il cinema. Però dall’Apollo che dava La mia Africa con Meryl Streep partiva un serpentone che s’allungava fino a piazza San Babila. Mi dissi, confortato: «Il cinema non morirà mai». Ora muore, o così sembra. La golden city chiude per far posto a palazzi dove i ragazzi non sognano più davanti a un grande schermo, ma a un luna park di consolle. Ma siccome in ogni sconfitta, la colpa non può non essere (in grande o piccola parte) del perdente, val la pena di rilevare che la mitica sala da tempo non era più quella degli amarcord. Leggi il programma e ti pare (non senza ragione) quello del cinema Anteo. Troppi film d’essai, troppo spazio a un cinema italiano abbonato alle sale vuote. Ai miei figli piccoli 30 anni fa alla domenica potevo offrire Terminator. Oggi cosa gli darei? Il ripescaggio dei Pugni in tasca? di Giorgio Carbone