L'inchiesta sugli appalti

Mantovani resta in carcere: "E' da sciopero della fame"

Nicoletta Orlandi Posti

Detenuto in attesa di giudizio. Mario Mantovani resta in carcere, per l’ex vicepresidente di Regione Lombardia non si aprono le porte di San Vittore: lo ha chiarito il gip di Milano, Stefania Pepe, quando ieri ha respinto l’istanza di scarcerazione che la difesa di Mantovani aveva avanzato pochi giorni fa, dopo l’interrogatorio fiume del senatore azzurro avvenuto giovedì scorso nella casa circondariale a due passi da Sant’Ambrogio. Niente: nessuna revoca della misura cautelare, nessuna autorizzazione agli arresti domiciliari. L’ex numero due del Pirellone, per il momento, rimane in cella con le accuse (ancora da provare) di corruzione, concussione e turbativa d’asta. Non sono serviti a niente i documenti presentati dall’avvocato Roberto Lassini, le sei ore di colloquio con i magistrati, l’autosospensione dalla carica regionale. Anzi: per il gip Mantovani «resta un politico influente», visto che mantiene la carica di consigliere regionale. Morale della favola: l’ex vice di Roberto Maroni è ancora a San Vittore. Da parte sua, e fin dall’inizio di questa storia giudiziaria, la difesa ha ribadito più volte che le esigenze cautelari in questo caso reggono poco, e forse non reggono per niente: la richiesta d’arresto firmata dal pm risale, infatti, a 13 mesi prima dell’ordinanza del gip che ha autorizzato a procedere con le manette. Poco importa: il pubblico ministero del Palazzo di Giustizia di Milano si era espresso già qualche giorno fa in merito al (possibile) rilascio di Mantovani. Quella scarcerazione non s’ha da fare, aveva detto. Ieri il giudice per le indagini preliminari ha confermato quella scelta. Una decisione che ha lasciato «senza parole» l’avvocato Lassini che ha chiarito «è una roba da sciopero della fame perché non ci sono le esigenze cautelari». Il legale però le sta provando tutte: ieri, subito dopo la pronuncia del gip, si è recato (ventiquattrore in mano) al tribunale del riesame di Milano e non ha perso tempo. Ha depositato il ricorso contro l’ordinanza di arresto della settimana scorsa e ha annunciato che il provvedimento del gip di ieri subirà lo stesso percorso. Poi ha precisato che il suo assistito ha parlato, nei giorni scorsi, con i magistrati mostrando «la massima collaborazione» ma, evidentemente, «non è bastato». Appunto. Le toghe milanesi, ieri, hanno respinto anche la tesi difensiva di Mantovani, almeno per quanto riguarda l’accusa di corruzione, presente nella memoria depositate dal suo avvocato. Secondo il pm, infatti, l’architetto Gianluca Parotti avrebbe diretto alcuni lavori di ristrutturazione in diversi immobili della famiglia Mantovani e del Comune di Arconate (di cui Mantovani è stato sindaco, eletto nel 2001, nel 2006 e nel 2009) a titolo gratuito ma in cambio di incarichi professionali in vari appalti pubblici. Tutto ancora da verificare in sede processuale, intendiamoci, ma le argomentazioni contenute nella memoria difensiva dell’ex assessore regionale alla Sanità e dirette a «contestare essenzialmente la riconducibilità a Mantovani delle prestazioni rese nel corso degli anni dall’architetto Parotti» per il momento sono «destituite di fondamento». Parola di giudice per le indagini preliminari. A poco sono serviti i documenti presentati dall’avvocato Lassini nei quali si parlava di «pagamenti eseguiti a favore di Parotti»: «Noi», ha fatto sapere l’avvocato, «abbiamo dato prova che il senatore ha pagato 160 mila euro a Parotti e che l’architetto aveva in uso anche dei locali nella villa di Cuggiono». Tant’è, il gip Pepe ieri ha ribadito quanto già messo nero su bianco nell’ordinanza di arresto: per la magistratura quelle retribuzioni sarebbero tardive, effettuate cioè solo dopo che Parotti è stato perquisito e ai fini della mera «strategia difensiva» di Mantovani. «Non abbiamo mai parlato di giustizia a orologeria e nemmeno di persecuzione politica», ha concluso Lassini, ci siamo sempre mossi per una difesa tecnica, ora andremo avanti con il ricorso». di CLAUDIA OSMETTI