Pansa: Rosi Mauro scandalosa solo per colpa del Senatùr
Vediamola da vicino questa scandalosa Rosi Mauro, già ardente ragazza del Sud, oggi cinquantenne ben conservata. Dicono sia stata l’amante di Umberto Bossi, il suo leader politico. Vero o falso? Se anche fosse vero, non mi stupirei. Il Senatur è nato nel 1941, la Rosi nel 1962, ventuno anni dopo. Una differenza d’età mica da poco, ma che ritroviamo in quasi tutte le storie di passione e di letto. Se teniamo lontana la battaglia politica e osserviamo la vita della gente qualsiasi, in questa presunta relazione non ci vedo niente di singolare. Che cosa fa un signore che non si accontenta del giardino di casa? Si sceglie un’amica stagionata? Non credo proprio. Guarda alle donne più giovani. E se riesce a convincerne qualcuna, ci va a nozze, sia pure non in chiesa né allo stato civile. La società italiana presenta milioni di casi come questo. Qualcuno dirà: un leader politico, per di più sposato, non dovrebbe comportarsi da sventato. È un principio che si può condividere, ma abbastanza irreale. Dappertutto esistono casi simili alla relazione fra il Senatur e la signora Mauro. Il vecchio detto: così fan tutti, o quasi, spiega molte vicende che non provocano più scandalo. Dicono poi che grazie alla relazione con il capo leghista, la Rosi non solo è diventata prepotente, come spesso succede alle favorite. Ha fatto pure una carriera immeritata. Arrivare alla vice presidenza del Senato non è come passare da commessa a direttora di un negozio perché vai a letto con il principale. Ma qui entra in campo l’arroganza dei boss di partito. Tutti, non soltanto quelli in camicia verde, si ritengono dei padreterno, più forti di qualsiasi regola. E i risultati si vedono ogni giorno. La Rosi era di certo inadatta a ricoprire il delicato incarico istituzionale. L’ha dimostrato un’allucinante seduta in Senato, durante la discussione sulla riforma Gelmini. Bossi sapeva bene quali fossero i suoi limiti, ma l’ha voluta lo stesso a quel posto. La signora avrebbe potuto rifiutarsi e ha sbagliato ad accettare. Ma la colpa principale l’ha commessa lei o il Senatur? Non ho nessun dubbio. È stato Bossi a decidere quella promozione priva di senso. Ecco una prova in più che certi leader politici ritengono lo Stato una loro proprietà privata, da usare come gli pare e piace. Dicono ancora che la Rosi si sia comprata una finta laurea in Svizzera, per se stessa e il moroso oggi in carica. Anche in questo caso, per ora la faccenda non ha trovato una conferma giudiziaria. Ma se lo fosse, al massimo potremo dire che la signora Mauro si è comportata da sciuretta vogliosa di una patacca da esibire. Tuttavia, se Bossi lo sapeva e per di più le ha permesso di usare fondi del partito, ancora una volta il ladro è lui, non la finta laureata. Dicono sempre: la Rosi si è inventata una propria organizzazione sindacale, il Sinpa, il sindacato padano, e l’ha fatto finanziare dalle casse leghiste. Ma il via libera l’ha ottenuto da Bossi e dal vertice del partito. È uno dei tanti trucchi inventati in questi anni dalla Lega. Identico a quello dei ministeri della Padania. Installati in tre stanze della villa reale di Monza e inaugurati in pompa magna dai gerarchi leghisti. Pare che il Sinpa non abbia un numero decente di tesserati. Però che importanza ha? Nessuno sa quanti siano gli iscritti veri ai sindacati tradizionali. Alcuni di loro, a cominciare dalla Cgil, campano su battaglioni di pensionati, categoria da rispettare alla quale appartengo anch’io. La presenza reale o soltanto virtuale del Sinpa non cambia nulla nel concerto dei sindacati italiani, sempre più in perdita di rappresentanza. Adesso la Rosi è finita all’inferno. È stata espulsa dalla Lega e prima o poi dovrebbe lasciare la vicepresidenza di Palazzo Madama. La senatrice Mauro si è difesa dicendo di essere stata scelta come capro espiatorio delle disgrazie leghiste. La mia opinione è che non abbia torto del tutto. Anche perché il suo delitto più pesante è stato quello di non obbedire a Bossi che la invitava a dimettersi. Sul Corriere della sera di venerdì, ho letto una singolare dichiarazione di Gianni Fava, dirigente mantovano della Lega. A proposito dell’espulsione della Rosi, ha detto: «Non stiamo parlando di reati, ma della colpa più grave: contraddire il capo di un partito carismatico. E farlo in televisione, mentre a Bergamo si svolgeva la manifestazione dell’orgoglio leghista». Viene spontanea una domanda: oggi che la Rosi è stata cacciata, l’autorità di Bossi ritornerà a essere totalitaria e senza crepe? È un quesito privo di senso. Come capo assoluto, il Senatur è già finito. Maroni gli sta facendo le scarpe e ha tutte le intenzioni di riuscirci. Anche a costo di una guerra civile tra leghisti, dagli esiti imprevedibili. Tuttavia, a quel punto la Rosi sarà già dimenticata. A meno che non decida di comportarsi da kamikaze, rivelando un bel po’ di segreti su Bossi, sul Cerchio magico e su altri big della Lega. Se mai ci sarà, il botto offrirà ai media un pranzo di lusso. Ma di nuovo non cambierà nulla della crisi politica italiana. I guai che emergono giorno dopo giorno non sono dovuti a Rosi Mauro. Lei è soltanto una delle molte comparse del dramma che stiamo vivendo. Il cancro della nostra vita pubblica ha cause molto più gravi e profonde. In questo Bestiario ne ricorderò tre. La prima è il pessimo livello del ceto politico. Le eccezioni esistono, sarebbe da ciechi non considerarle. Però è l’insieme che spaventa. Vediamo crescere vizi pericolosi. Menefreghismo. Pigrizia. Scarsa cultura. Pochissima fiducia in se stessi. Paura delle novità. Faziosità eccessiva. Nessun interesse reale al governo del paese. Indifferenza ai rischi che corriamo tutti in un ciclo depressivo dell’economia mondiale. Molte difficoltà del governo dei tecnici affidato a Mario Monti derivano da questo insieme di fattori perversi. Il cittadino senza potere, che osserva da lontano quanto accade nei palazzi romani, vede una casta irresponsabile. Votata al suicidio e soprattutto incurante del disastro che può distruggere la casa comune. Gli altri due guai stanno tutti i giorni sotto i nostri occhi. Il primo è la crescita spaventosa della corruzione. Quel che accadeva a Tangentopoli erano scherzi da Asilo Mariuccia al confronto di quanto avviene oggi. Il secondo è la pesantezza insostenibile dell’evasione fiscale. I corrotti è possibile stanarli e spedirli in galera. La magistratura lo sta facendo con una cadenza impressionante. E lo farà sempre di più. Invece gli evasori sembrano alieni inafferrabili, mostriciattoli che non hanno ancora trovato il loro sterminatore definitivo. Venerdì, il presidente della Repubblica li ha bollati come indegni di chiamarsi italiani. Sono d’accordo con Giorgio Napolitano. Ma purtroppo il suo sacrosanto grido di rabbia non basta. Il Bestiario continua a pensare che la politica, se possiede ancora un po’ di senso civico, dovrebbe prendere una decisione drastica: mandare in carcere un mazzo di grandi evasori. In base al vecchio motto: colpirne uno per educarne cento. Lo urlavano le Brigate rosse, ma non per questo sarebbe meno efficace. Perché in carcere? Perché l’evasore fiscale ha mentito al popolo italiano. Negli Stati uniti lo spiegano così. Dovremmo imitarli. A quel punto il problema di Rosi Mauro ci sembrerà un affare da caporali, come diceva il grande Totò. di Giampaolo Pansa