Attacco finale alle partite Iva Adesso arriva la batosta
Dal Tesoro minimizzano, ma i dati parlano chiaro. A febbraio le nuove partite Iva aperte in Italia si sono fermate a quota 55mila, con una diminuzione verticale rispetto a gennaio del 36,7%. Di sicuro, come sottolineano da Via XX Settembre, va considerata la particolarità di gennaio, mese solitamente privilegiato, anche per questioni di semplicità contabile, dai lavoratori autonomi per l’avvio di una nuova attività. Il dato di febbraio va quindi letto alla luce delle 87mila partite Iva registrate all’inizio del 2012, con un incremento del 4,5% rispetto all’anno precedente. Difficile, però, liquidare il crollo, come fanno i tecnici del ministero dell’Economia, come una dinamica «fisiologica e poco significativa». La realtà è che per gli autonomi tira una brutta aria: oltre alla prospettiva di diversi mesi, se non anni, di recessione davanti, per le partite Iva è anche in arrivo la stretta/stangata inserita dal governo Monti con la riforma del lavoro. Regali che si vanno ad aggiungere ad una campagna di criminalizzazione fiscale per commercianti, microimprese e professionisti messa in atto da diversi mesi dall’Agenzia delle Entrate. L’intenzione dichiarata è quella di combattere i cattivi, il risultato, come inizia a vedersi, è quello di scoraggiare tipologie di lavoro in linea con la modernizzazione delle economie, la flessibilità dei mercati, la gestione del tempo libero e l’evoluzione delle professioni. Le minacce più consistenti ai lavoratori autonomi sono contenute in due passaggi della riforma del Lavoro attualmente all’esame del Senato. Il primo è la lotta alle presunte partite Iva fasulle. Fenomeno che i sindacati riportano sotto la categoria più ampia dello sfruttamento e che il ministro del Welfare intende combattere con la trasformazione d’ufficio dei rapporti di collaborazione in rapporti di lavoro subordinato. La legge fissa tre paletti: la collaborazione non deve durare più di 6 mesi nell’arco di un anno, corrispettivo derivante da tale collaborazione non deve costituire più del 75% del reddito nell’arco dello stesso anno, il collaboratore non deve disporre di una postazione di lavoro presso la sede del committente. Se scattano due di tali requisiti, significa, secondo la Fornero, che la partita Iva non è tale. L’effetto, secondo la maggior parte degli esperti, sarà un colpo di scure a consulenze e collaborazioni da parte delle imprese. Il contrasto alle partite Iva fasulle previsto nel ddl di riforma, spiegano i Consulenti del lavoro, «rischia di introdurre una rigidità del sistema non soltanto eccessiva, ma che non appare affatto conciliabile con i canoni vigenti nella materia stessa che si vorrebbe correggere dalle distorsioni». A giustificare la mano pesante sarebbe, secondo la Fornero, il livello dimensionale del fenomeno, che molti quantificano addirittura in 500mila partite Iva aperte fittiziamente da poveri lavoratori sfruttati con i fucili puntati delle aziende. I conti, a dire il vero, tornano poco. Di 8,8 milioni di posizioni, 5,5 sono quelle intestate a persone fisiche, di queste circa un milione sono riferibili a soggetti iscritti ad albi professionali, mentre 3,5 milioni riguardano gli autonomi delle professioni non regolamentate. Se a queste si aggiungono i dati dell’Agenzia delle Entrate, che considerano a quota 2 milioni le partite Iva inattive (e che presto in base alle nuove normative verrano chiuse d’ufficio), non si capisce bene da dove arrivino le stime dei 500mila dipendenti dissimulati. Per essere sicuro che il colpo contro le “finte” partite Iva vada a segno la Fornero ha poi fatto piombare anche su quelle “vere” un bell’aumento contributivo, che farà lievitare l’esborso dovuto all’Inps dall’attuale 27% al 33% del 2018. Si tratta, ha tuonato Giuseppe Lupoi, presidente del Coordinamento libere associazioni professionali (Colap), di «un punto percentuale in più ogni anno, che segna una nuova ingiustizia per i lavoratori autonomi. Un aumento ingiustificato e iniquo che marca ancor di più la profonda diseguaglianza di trattamento dei lavoratori all’interno del mercato del lavoro italiano». di Sandro Iacometti twitter@sandroiacometti