L'ultimatum di mezzo Carroccio: cacciamo il Cerchio magico
È una guerra civile senza esclusione di colpi. Nella Lega si sono rotti gli argini. Le tensioni che per anni sono state negate, anche di fronte all’evidenza, sono esplose fragorosamente dopo l’inchiesta sui finanziamenti pubblici che sarebbero finiti ai familiari del Senatur e ad altre persone a lui vicine. In primis la vicepresidente del Senato Rosi Mauro. Roberto Maroni tace, ma è determinato a non fare sconti, tanto da tuonare via Facebook «pulizia, pulizia, pulizia». Non ha gradito neanche gli insulti che alcuni militanti gli hanno rovesciato addosso giovedì fuori da via Bellerio, dove è stato accusato di essere un Giuda che trama contro Bossi. Ma è la base che guarda a Bobo come futuro segretario federale che è assetata di sangue e sta urlando la sua rabbia. A Varese è partita la richiesta di sfiducia per Maurilio Canton, il segretario provinciale imposto da Bossi. È accusato di aver snobbato le amministrative che sono all’orizzonte e i sindaci, di aver scelto dei collaboratori «inadeguati», di non essere stato in grado di mantenere il numero legale nell’ultimo direttivo. Il tutto senza dimenticare la sua presenza, giovedì, fuori da via Bellerio. Dove è stato tra i primi a entrare nel quartier generale lumbard per gridare «Bossi Bossi» in cortile, nel cuore della sede, dove da pochi minuti Umberto si era dimesso. Non mancano mortaretti per l’ex capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni. Giovedì a Milano non s’è visto (all’esterno della sede c’era sua sorella Paola). Però via sms alcuni militanti di Varese girano stralci del suo libro, Gente del Nord, dove parla di Renzo Bossi e di Manuela Marrone. Sulla moglie dell’ormai ex leader, Reguzzoni ha scritto: «Su tutti, noti e meno noti, si staglia però una figura fondamentale, che in parte li rappresenta ed è senza dubbio la sintesi del vero militante leghista. Noi la chiamiamo “la Manuela”: da sempre compagna gentile, silenziosa e riservata del leader, gioca al suo fianco un ruolo in cui solo la storia chiarirà un giorno la centralità, spazzando via maldicenze e dicerie che i nemici della Lega si divertono a inventare». Miele pure per il Trota: «Ed è per questo che i nostri militanti veri, fuori da logiche di potere e di palazzo, vedono in Renzo una speranza per il futuro. Uno così non può tradire, non può vendersi, pensano a ragionare». Frasi che gli verranno rinfacciate a muso duro. Ma in cima alla lista c’è Rosi Mauro, che tra i militanti maroniani è ancora meno popolare dell’ormai ex tesoriere Francesco Belsito. Su internet gira una nuova versione dello storico manifesto con la gallina dalle uova d’oro, che in questo caso è il Carroccio. La scritta non dice “paga e taci somaro del Nord” ma “chi sfrutta la Lega fuori!”. Il riferimento è a “Rosi (Mauro, ndr), Reguzzoni e gli altri 4 cerchioni”. In un angolo c’è il disegno di un uomo col volto coperto indicato come Belsito e che fugge con un sacco di euro in direzione della Tanzania. È dal Veneto, dove il nuovo responsabile del forziere padano Stefano Stefani è determinato a controllare ogni centesimo, che sta per partire la richiesta (ufficiale) di dimissioni dalla vicepresidenza del Senato per la Mauro. Brutta aria pure per il Trota. Il capogruppo della Lega in regione Lombardia, Stefano Galli, apre all’addio del Trota al Pirellone: «Sì, è una valutazione che dovrà essere fatta». E da Brescia, dove il rampollo è stato eletto alle ultime regionali, il leader locale e maroniano Fabio Rolfi ha convocato per il 16 aprile il direttivo. All’ordine del giorno il doppio cartellino rosso da sventolare per il Trota e per la sua badante, l’assessore lombarda allo Sport Monica Rizzi. Tutto questo va innaffiato con le accuse che riaffiorano qui e là per Davide Boni (il presidente del consiglio regionale lombardo accusato d’aver preso mazzette) e le accuse dei cerchisti nei confronti dei «traditori maroniani». Perché c’è chi insiste: tutto il fango che si sta rovesciando contro Bossi è frutto di una macchinazione diabolica di Bobo. di Matteo Pandini Vai al blog Padanians