Il futuro di Erika: in Africa missionaria per i bimbi
Preti gay, assuefazione da Internet, disagio giovanile, il fenomeno dei suicidi per debiti, presente e futuro di Erika De Nardo, la ragazzina ormai cresciuta che uccise madre e fratellino a Novi Ligure. Don Antonio Mazzi affronta questi temi in un’intervista che rispetta un unico dettame: nessuna censura. Don Mazzi, come va il cuore? «Per fortuna bene, ho voluto fare il furbo e sono stato punito. A causa della vita troppo frenetica, a gennaio ho subito un’operazione di angioplastica alle coronarie che mi ha costretto qualche giorno in ospedale. Ma ora sto benone. Cerco di essere più calmo, anche quando guardo le partite. Sa, purtroppo sono interista...». Come ha preso l’arrivo di Stramaccioni? «Benissimo, ho sempre puntato sui giovani. Qualche tempo fa scrissi a Moratti: “Caccia via tutti, prendi solo giovani e vedrai che dopo tre anni vinceremo tutto”. Non mi ha ascoltato». Come sono i giovani italiani? «Molto soli. Genitori e scuola non riescono a capirli, e senza guide sono destinati a finire nel baratro. Con la mia comunità Exodus stiamo lavorando molto per questo disagio. La cosa fondamentale, che in pochi hanno colto, è che bisogna utilizzare strumenti che vadano oltre l’incontro con lo psicologo o il medico. Occorre creare aggregazione e occorre farlo subito. Quando appaiono i problemi è già troppo tardi. Dobbiamo anticiparli». Detto così sembra facile... «Ma non lo è. La nostra formula si chiama “Oratori 2000”, nome che esprime subito la sua vocazione: da una parte il carattere confidenziale e di accoglienza dell’oratorio, dall’altra un approccio moderno. Abbiamo quattro centri (Lago di Garda, Chiavenna, nella Locride, a Capranica, in provincia di Viterbo), e in ognuno affrontiamo il tema dell’aggregazione in modo diverso. Sul Garda svolgiamo attività sportive per quasi 2.000 persone, nel Lazio ci dedichiamo a quelle musicali, a Chiavenna di tipo giornalistico e teatrale. Ad Africo, dove ci è stata concessa una struttura sequestrata alla mafia, stiamo organizzando iniziative specifiche per la zona». Tutti ragazzi difficili, con trascorsi turbolenti. «No, e questa è un’altra novità. Ci sono giovani che arrivano dal tribunale, ma anche scout, studenti. Tutti hanno bisogno di fare nuove amicizie, non solo chi ha un passato violento. Il segreto è trasmettere passioni vere, interessi forti. È un modo efficace per tenerli lontani dalla droga». La comunità Exodus è nata negli anni ’80 per i tossicodipendenti. Cos’è cambiato da allora? «Innanzitutto ora i ragazzi non dipendono dalla droga, ma la usano. È diventato un divertimento come un altro, è entrata nel tessuto della normalità. È accettata, a meno che non sia l’eroina, che è sempre stata la droga dei disperati». E Internet? Dicono che sia la droga del futuro. «Una volta si diceva ai ragazzi di non fumare o drogarsi, ora bisognerebbe insegnargli come usare questo strumento, terribile per certi versi. È pericoloso perché totalizzante, dentro c’è tutto, nel mondo virtuale non ci sono difficoltà e questo rende la realtà più difficile da affrontare». Ma anche lei usa la rete. Anzi, sul suo sito ha scritto del prete di Lecco che ha dichiarato di essere omosessuale. Le sue posizioni in merito non sono molto convenzionali... «Per me l’omosessualità non è una malattia o un peccato, ma solo una diversità. Credo, però, che vada evitata la propaganda, che non vada sbandierata. Noi preti dobbiamo creare serenità, la nostra e quella degli altri. La nostra sessualità è sublimata a Dio, dobbiamo offrirci totalmente a lui. Per questo dico che “in pratica” non c’è differenza tra omo ed etero». Restando in tema di visioni fuori dal coro, lei scrive: «Mi domando se la preparazione dei giovani seminaristi sia adeguata al contesto nel quale domani dovranno operare». «Sono convinto che l’adolescenza vada vissuta in famiglia, qualsiasi sia. Anche una violenta è meglio del seminario. Inoltre, prima dei trent’anni nessuno dovrebbe diventare prete. Il mondo è cambiato, il tempo della maturazione è più lungo e occorre maggiore riflessione». Infine propone: «I preti non vivano soli ma in piccole comunità. La solitudine è deleteria e disumana». «Esatto. Vorrei che vivessero in piccole comunità, che stessero insieme, perché la solitudine è terribile. Spero che lo capiscano i preti, prima dei vescovi. Io non ho mai vissuto la solitudine perché ho i miei ragazzi, che sono come dei figli». Anche Erika De Nardo? «Certo». Lei ha dichiarato che sarebbe rimasta nella sua comunità anche dopo il 5 dicembre 2011, giorno in cui è tornata ufficialmente libera. «E così è stato. Erika è rimasta con noi nel centro del Garda e sta affrontando con grande coraggio un percorso interiore per cambiare. Noi partiamo da un assunto: nessuno è irrecuperabile». Com’è la giornata tipo di Erika? «Si sveglia alle 6 e va a letto alle 22.30. Durante il giorno ha delle verifiche e tre-quattro volte alla settimana ha un incontro con la psicologa. Fa volontariato, tiene un diario per seguire i propri progressi». Una ragazza come tante, dunque. Con sogni e progetti… «Io spero di mandarla il prima possibile in Africa come volontaria. Sono convinto che possa seguire i bambini e fare del gran bene. So che questa mia idea farà storcere il naso a molti, ma sono convinto delle mie parole. Quello che è successo anni fa (il 21 febbraio 2001, a Novi Ligure, Erika e il fidanzatino Omar Favaro, di 16 e 17 anni, uccisero con decine di coltellate la madre e il fratellino 11enne della ragazza, ndr) è accaduto perché allora era in balìa della droga e, essendo una leader, doveva dimostrare agli altri la sua forza. Quella Erika non c’è più». Ora la cronaca parla di altro, degli imprenditori che si uccidono per i debiti. «È un fenomeno strano, fino a dieci anni fa il suicidio era qualcosa di inconcepibile, ora i ragazzi ne parlano come se niente fosse. Addirittura arrivano a pensarci per il rifiuto di una fidanzatina. Per gli imprenditori il discorso è diverso. È colpa della crisi, ma soprattutto della mancanza di speranza». di Salvatore Garzillo