I moralisti ci tassano ma non tagliano: ci stanno suicidando
Mettiamo un po’ in fila alcuni fatti. Fatto numero uno. A Milano la rivolta contro le banche prende forma e, nel silenzio, trova la complicità di molte persone comuni che si sentono (spesso non a torto) vittime della prepotenze degli istituti di credito. Mi sta capitando sempre più frequentemente di raccontare in tivù storie di famiglie, d’imprenditori e di lavoratori “prigionieri” di regole e cavilli paurosi; ebbene in questi racconti la banca si rifiuta di dare spiegazioni salvo poi diramare lunghi e freddi comunicati stampa che non spiegano mai nulla. Fatto numero due. La Cgia di Mestre, splendido monitor sul mondo delle micro aziende e delle pmi, ci fa sapere che il 2011 ha segnato il record dei fallimenti. Visto che la china non è destinata a mutare segno nel 2012 purtroppo è difficile immaginare un’inversione di tendenza. Dietro la consegna dei libri contabili in tribunale si nascondono lavoratori che restano a casa, sogni di impresa zompati per aria, se non addirittura vite umane spezzate. Il caso dell’artigiano bolognese che si è dato fuoco ha catalizzato l’attenzione – era ora! – anche del palazzo. Quando i suicidi diventano decine e decine (per non dire dei tentativi) allora si apre un tema politico-sociale, oltre che economico. Eppure non i leader di partito, non le istituzioni - dal Capo dello Stato al premier – hanno sentito il dovere di portare la faccia dello Stato laddove lo Stato da costoro ha preso e continua a prendere parecchio. E perché né il presidente Napolitano né Monti (come in passato nemmeno Berlusconi) ha presenziato a un funerale di costoro? Semplice perché temono i fischi. In Veneto, gli artigiani parlano di suicidi di Stato: Napolitano e Monti, forse, un pensierino sul Paese reale lo dovrebbero fare sul serio (tanto più dopo i festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia). Le aziende saltano in aria per i soliti mali italiani: è un discorso vecchio che torna maledettamente d’attualità quando oltre alla crisi in sé s’aggiunge il peso di un arretramento italiano rispetto alla spesa pubblica, alla lentezza delle cause civili, alla burocrazia. Alla tassazione che non ha eguali in Europa per il rapporto tra tasse e servizi restituiti. Arriviamo così all’ultimo fatto. A Cernobbio (uno dei salotti nobili italiani) il ministro dello Sviluppo Corrado Passera ha lanciato la sua fatwa contro gli evasori, parlando di una “sanzione sociale contro chi fa il furbetto”. Su queste pagine più volte ho chiesto la pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi come avveniva in passato, motivandola con l’esigenza di un controllo sociale anche ai fini fiscali. Ammettiamolo: a chi paga fino all’ultimo euro le tante tasse gli evasori stanno sulle palle! I furbetti del fisco non meritano sconti. Però che lo dica un ministro che nella precedente vita era a capo di una banca (la Intesa-SanPaolo) pizzicata da Agenzia delle Entrate per non aver pagato il giusto obolo dopo certe operazioni salvo poi sanare la propria posizione, beh fa un po’ sorridere. E’ un po’ come Attilio Befera che, dopo tanti anni alla guida di Agenzia delle Entrate e di Equitalia, fa adesso il cacciatore senza pietà degli evasori. Bene, ma prima dov’era? Quando si accumulava l’everest di evasione, dov’era? L’artigiano che s’è dato fuoco a Bologna, proprio mentre bruciava vivo, veniva condannato per non aver saldato quel che avrebbe dovuto saldare. L’avrebbe voluto fare ma se i clienti non pagavano i lavori con quali soldi si pagano le tasse? Sarebbe opportuno aggiungere che con le tasse i cittadini pagano anche una giustizia che dovrebbe garantire loro il recupero dei crediti. Perché Equitalia ha dei poteri straordinari nel recupero del dovuto mentre gli imprenditori non possono contare su una giustizia che imponga la soddisfazione del credito? Ecco, prima di parlare di bollini e di sanzioni sociali (fatta salva la caccia agli evasori veri, quelli cioè che nascono patrimoni e non hanno alcun problema di liquidità!) forse il governo dovrebbe mettere una pezza a questa grave stortura delle regole del gioco. A proposito di regole del gioco, e chiudo: il premier Mario Monti allunga l’elenco delle sue frasi infelici. “In Italia gli aumenti rozzi sono stati necessari per non finire come in Grecia”, ha detto. Sarebbe il caso di stamparsi bene in testa che una delle cause principali della situazione in Grecia riguardava la folle spesa pubblica, la corruzione e cose simili. Ecco, prima di alzare ulteriormente l’Iva – come ha paventato il solito Passera – sarebbe il caso che i tecnici guidati da Monti si dedicassero dalla mattina alla sera alla riduzione drastica della spesa pubblica, all’eliminazione dei tanti sprechi che ancora disperdono denaro sudato da imprenditori e lavoratori! Il premier se davvero vuole vendere all’estero un’Italia nuova, la alleggerisca dei tantissimi sprechi e solo allora potrà dire di aver compiuto un miracolo. Ad alzare le tasse sono buoni tutti. di Gianluigi Paragone