Tre italiani su 5 stufi dei partiti. Mario pensa a "Forza Monti"
Il premier Mario Monti, nella sua visita in Asia, non passa giorno senza punzecchiare i partiti politici: "Il consenso ce l'ho io, e non loro". Il professore cita poi i sondaggi, li analizza, e insiste su quello spread tra il gradimento a lui riservato e quello che raccolgono i partiti. Il dubbio sorge spontaneo: dopo la parentesi tecnica, Monti cercherà l'avventura - ufficialmente - politica? Possibile, probabile. Tanto che un ex ministro del governo Prodi, citato da La Stampa, spiega: "Monti sembra lavorare per essere la vittima dei partiti cattivi e fondarne uno buono, nuovo". E la questione potrebbe diventare all'ordine del giorno subito dopo le elezioni amministrative, quando potrebbe nasere "Forza Monti". Segue l'articolo di Arnaldo Ferrari Nasi. Il sensibile calo di consensi che l’esecutivo Monti sta registrando nell’opinione pubblica, così come riportato da molti istituti, è fisiologico. Passati i primi mesi dall’insediamento è passata anche l’euforia degli italiani per la novità e oggi Monti si trova a lavorare in una fase che è propriamente politica. Se le misure economiche applicate nei primi 100 giorni sono state a buona ragione considerate bipartisan, proprio perché urgenti e d’emergenza, e dai più condivise, le scelte che oggi il governo sta affrontando vanno a colpire specifiche fasce sociali ed interessi. Fasce sociali ed interessi che, almeno in teoria, vengono tutelati dai partiti. Questi ultimi, quindi, sono ora legittimati a far sentire la propria voce. Accollarsi la colpa di aver fatto cadere Monti potrebbe essere veramente rischioso per un partito: nella successiva campagna elettorale gli si ritorcerebbe certo contro con grande vantaggio per gli avversari. Un rischio maggiore per il Terzo Polo o il Pdl. Per il Pd, invece, ci potrebbero essere anche delle opportunità: se il governo cade per la difesa dell’art. 18, l’argomentazione è così valida, per la sinistra, che tutta l’area potrebbe ricompattarsi e, con una destra divisa in tre, la vittoria sarebbe alla portata. In ogni caso, le minacce di crisi sono principalmente il segnale che i partiti stanno iniziando la loro riscossa: ripresisi dalla batosta dell’arrivo di Monti, vorrebbero tornare al loro posto di comando. Ma c’è un prima e un dopo, l’arrivo di Monti, che potrebbero essere veramente molto diversi, per ciò che conosciamo oggi. Ecco perché il calo di popolarità dell’esecutivo e la rinnovata vitalità dei partiti non pare essere così importante. Un passo indietro. Anche prima che presentasse la sua riforma del lavoro o che si manifestassero alcune presunte incoerenze sulle liberalizzazioni dei settori economici, in pratica, quando l’operato di Monti godeva di livelli di fiducia ben più solidi di ora, gli italiani non erano per nulla convinti della riuscita delle sue operazioni. In un sondaggio presentato a Ballarò il 14 febbraio scorso, Nando Pagnoncelli di Ipsos sottolineava come solo il 37% degli italiani pensava che Monti, sebbene ci avesse salvato da un momento difficilissimo, potesse portarci fuori dalla crisi. Ed io stesso pubblicavo in quei giorni su queste pagine un mio sondaggio che vedeva come solo per il 47% Monti sarebbe riuscito nell’intento di «portare l’Italia fuori dall’emergenza economica». Non vi è dubbio, quindi, che gli italiani fossero già da tempo disillusi sui risultati concreti che Monti avrebbe potuto ottenere. Ben il 64% vorrebbe oggi che alle prossime elezioni politiche Monti o qualche uomo della sua squadra si candidasse per il governo del Paese. Ma il dato più interessante è che l’86% di costoro, il 55% dell’intero campione, vuole che il sostegno provenga solo da «forze e uomini nuovi non legati ai partiti di oggi». Questo dato non varia molto neanche tra chi crede in una riuscita di Monti (59%) e chi invece resta dubbioso (50%). Il che va a confermare come, al di là del risultato ottenuto, non si voglia più tornare al passato. Un altro dato notevole è che questa richiesta di novità non provenga dalla grande area degli indecisi (44%), ma è un fenomeno che maggiormente si può riscontrare tra chi abbia già una posizione. Ecco quindi come le massime istanze per “l’uomo nuovo” provengano dal centro (Udc 74%), da sinistra (Sel 72%) o da destra (Lega 70%). Richieste tripartisan che indicano soprattutto che questo spazio abbia già un potenziale politico pronto, facilmente attivabile, che occorre solo saper gestire, senza doverlo individuare. Una ghiotta occasione, composta principalmente da uomini (60%), di istruzione non troppo alta e non troppo bassa (medie/professionali/diploma, 57%), in piena età produttiva (35-55enni, 60%), provenienti dalle aree economicamente più solide (57%). Il profilo di chi vorrebbe e potrebbe realmente portare l’Italia fuori dalla crisi. Un target qualitativamente invidiabile, oltre che ampio. Difficilmente però i partiti di oggi, proprio per i motivi sopra citati, riusciranno a impossessarsene. Forse Montezemolo, se si decidesse a scendere in campo. Ma se ne parla apertamente da almeno due anni: risulterebbe lui il “nuovo”, come viene richiesto? Ad oggi, altro non c’è. Di certo c’è che Berlusconi, nel ’94, se li prese tutti in pochi mesi. di Arnaldo Ferrari Nasi Sociologo politico