Maglie: il vero premier è al Colle Giorgio ha gettato la maschera
Ma chi è il presidente del Consiglio? Sta a Palazzo Chigi o saldamente al Quirinale? Dalla cronaca di ieri sul disastrato articolo 18 e il resto che ci gira intorno, riforma zoppa, finita a disegno di legge, ovvero a mai finire, meglio a finire nelle fauci di Maurizio Landini, segretario della Fiom, apprendiamo che il Consiglio dei Ministri ha approvato, «salvo intese», il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro, e che la formula «salvo intese» pare sia stata consigliata a Mario Monti dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nella speranza di stemperare le tensioni delle ultime ore. Tensioni che comunque al capo dello Stato appaiono eccessive. «Non credo che noi stiamo per aprire le porte a una valanga di licenziamenti facili sulla base dell’articolo 18 anche perché bisogna sapere a che cosa si riferisce l’articolo 18», ha detto il presidente. Rassicurante Noi chi? Noi che dal Colle sappiamo come rassicurare i democratici, prendere ancora tempo, naturalmente con la complicità del Pdl, basta leggere la dichiarazione del presidente del Senato, Renato Schifani, che si preoccupa che la riforma venga approvata «entro l’estate», dunque con tutto comodo, o sentire le frasi rassicuranti del segretario Angelino Alfano sull’equilibrio raggiunto, quando di raggiunto c'è solo il tradimento della flessibilità della riforma Biagi. «Noi» ha rassicurato tutti, calmato la tensione, consentito al presidente ufficiale del Consiglio di partire per la missione in Cina a caccia di investitori raccontando e raccontandosi che la riforma è approvata. «Noi» purtroppo su una cosa tace, e invece dovrebbe tuonare, ovvero sulla sorte dei due marò illegalmente detenuti in India. Per il resto vai con la moral suasion, come la definisce Repubblica raccontando le tappe di un lavorone: vedi Monti, senti Bersani, parla con Casini, manda a dire ai vertici del Pdl, blocca il decreto urgente, fatti mandare il materiale sul sistema tedesco, ricorda le battaglie storiche del sindacato, non dimenticare le sconfitte sulla scala mobile, avvisa la Camusso che sei addolorato e almeno di prendere le distanze da Diliberto e dalla maglietta della sua fan, spiega di nuovo a Monti che la rigidità è inopportuna. Il peccato originale Una faticaccia, specialmente in una Repubblica che presidenziale non dovrebbe essere, o no? Anche perché perfino il super presidente del Consiglio che siede al Quirinale può poco con il peccato originale del “suo” Pd, ex Ds, Pds, già Pci, ovvero con la storica mancanza di volontà riformatrice di un partito che socialdemocratico non si è fatto mai, campione di cosmetica, oggi ufficialmente corresponsabile del governo tecnocratico, eppure ancora e sempre nelle grinfie della Cgil, che a sua volta è controllata dalla Fiom, e tutti assieme la buttano in sciopero. Si può serenamente affermare che il commissariamento della politica italiana ad opera del capo dello Stato, per mezzo di un’élite di “tecnici” e alti funzionari, commissariamento motivato con ragioni di “emergenza nazionale”, è arrivato al suo momento più alto e perciò che è incominciata la sua crisi. La maggioranza che ha votato la fiducia al governo unisce, è vero, le forze maggiori delle precedenti maggioranza e opposizione, ma non ha nulla in comune con una coalizione di larghe intese, con un governo di transizione nato da un patto stipulato tra i principali partiti uniti dalla consapevolezza di una fase eccezionale da affrontare. L'avesse detto Cossiga... Né vale ripetersi che gli articoli della Costituzione repubblicana sul ruolo del Capo dello Stato sono estremamente vaghi, tanto è vero che abbiamo avuto presidenti della Repubblica notarili ed altri interventisti. Con la formazione dell’attuale esecutivo e con la sua azione quotidiana, siamo al punto estremo di incompatibilità tra il protagonismo politico rivendicato e attuato dal Quirinale e l’assetto parlamentarista pensato per la democrazia dai padri costituenti. Nessuno scandalo, la Costituzione avrebbe bisogno di svecchiamento in molte parti, il semipresidenzialismo alla francese ha le sue virtù, ma in Francia il presidente lo eleggono i cittadini, Napolitano fu designato da una parte del Parlamento, con fatica. Provate a immaginarvi che finimondo sarebbe successo se quel «noi» lo avesse pronunciato il povero Francesco Cossiga, uno che di certo il Paese non lo avrebbe voluto mai nelle mani di élite oligarchico-tecnocratiche, anche se i difetti dei partiti li conosceva fin troppo bene. di Maria Giovanna Maglie