Bersani scivola sull'art.18 Pd: "Ora licenziamo lui"
Monta la rabbia nell'elettorato Pd dopo l'annunciata riforma del lavoro del governo Monti ormai in dirittura d'arrivo. La base democratica non nasconde il proprio scontento e lo fa riversando centinaia di commenti minacciosi sulla pagina Facebook del leader democratico Pierluigi Bersani. "Se dite sì a questa riforma del lavoro non vi votiamo più", questo il senso dei commenti che accompagnano il post scritto da Bersani. "E’ chiaro - scrive Bersani - che su quel che c’è di buono nell’impostazione del governo e su quel che c’è da migliorare e da correggere, a questo punto dovrà pronunciarsi seriamente il Parlamento". E in serata il segretario ha rincarato la dose: "Monti non può dirci prendere o lasciare. Con noi si ragiona". E ancora: "Con questa norma, licenziamenti per discriminazione e disciplina scompariranno ci saranno i licenziamenti per cause economiche. Non va bene, è una questione di diritti dei cittadini lavoratori, questa cosa va corretta. C'è il parlamento e si corregge e il Pd si prenderà la briga di trovare le strade per correggere, non per andare indietro, ma avanti con una certa idea di modello sociale". La base - In parallelo molti esponenti della base del pd chiedono a Bersani di staccare la spina all'esecutivo. "Al voto! Non fate continuare questo scempio", scrive allarmato Franco Falbo. C'è chi è pronto addirittura a restituire la tessera Pd appena rinnovata, come Gennaro di Colandrea. La maggior parte degli utenti avvisa il leader democratico: "Se voti la riforma scordati il nostro voto", verga lapidario Francesco Salerno. "O ti schieri con la Cgil, o altrimenti, come ho già detto, alle urne sono davvero, ma davvero c...i. L'elettorato ti punirà in modo esemplare". Il punto è che il partito, però, non la pensa così. Divisioni nel Partito - Per Bersani la situazione è incandescente, esplosiva. Infatti non è soltanto la base a marcare il distacco dal segretario. Non è certo una novità per la sinistra, ma è anche tra le varie correnti del partito che cresce il malconento nei confronti del leader, che secondo gli ultimi sondaggi viene dato in calo continuo. La riforma del lavoro potrebbe disintegrare il primo partito della sinistra dall'interno. Bersani, dopo il tavolo con le parti sociali di martedì, ha spiegato che "i patti non sono stati rispettati". Eppure Enrico Letta, il suo vice, non ha dubbi: "Il nostro voto favorevole, pur con tanti distinguo, non può essere in discussione". Parole in netta controtendenza rispetto a quelle del leader. Anche Beppe Fioroni, cuore dell'area Modem del partito, la pensa diversamente da Bersani: "Credo che sia stata trovata sia nel metodo che nel contenuto una soluzione importante - spiega riferendosi alla riforma del lavoro presentata da Elsa Fornero -. Si incentiva il lavoro a tempo indeterminato, vengono rafforzati gli ammortizzatori sociali, l'articolo 18 resta con una significativa manutenzione. Nella riunione - ha concluso Fioroni -, altro fattore degno di nota, si è registrata l'unità su tanti punti. Adesso nessuno faccia saltare il banco". Nella serata di martedì, Enrico Letta, ospite alla trasmissione Otto e Mezzo, ha cercato di buttare acqua sul fuoco replicando con un secco "no" quando Lilli Gruber gli ha chiesto se sulla riforma del lavoro si dividerà il partito. "Penso - ha spiegato Letta - che tutti noi sappiamo che abbiamo una responsabilità superiore alla nostra persona, il Pd è un bene comune”, sottolinea. Per il vicesegretario, il Pd “discute ma non si spacca”. Una speranza vana. Una polveriera - Col segretario resta l'irremovibile responsabile economico del partito, Stefano Fassina: "Da quello che si può capire finora - ha dichiarato - ci sono dei punti positivi, ma anche molti buchi, per esempio per quel che riguarda gli ammortizzatori sociali. La parte che riguarda l'articolo 18 non va bene perché lo svuota completamente". Il Pd è insomma una polveriera: la base contro il segretario, isolato con poche eccezioni anche in Via del Nazareno. Bersani è pronto a portare le sue istanze in parlamento, spiegando che "sulla riforma dovrà pronunciarsi l'aula". Il problema, semmai, è capire quanto compatto il Partito Democratico possa arrivare al dibattito parlamentare.