Saviano, il nome di suo padre nelle carte su toghe e camorra
Decapitato il gruppo Ragosta, una delle realtà industriali più grandi del Mezzogiorno. La Guardia di Finanza, su ordine della Dda, ha eseguito 60 misure coercitive su oltre 80 indagati complessivi, per la gran parte residenti in Campania, allungandosi poi in altre regioni italiane tra cui la Lombardia. Le accuse, se confermate dagli sviluppi, vanno dal concorso esterno in associazione mafiosa all’associazione a delinquere semplice, dalla truffa al riciclaggio, dalla corruzione in atti giudiziari al falso. Tra i destinatari delle misure (22 in carcere, 25 ai domiciliari e 13 con obbligo di dimora) anche 16 giudici tributari, un noto docente universitario di Diritto tributario della Federico II, avvocati, commercialisti, funzionari dell’Agenzia delle entrate e del Garante del contribuente per la Campania. Oltre che, ovviamente, il vertice del gruppo: i fratelli Giovanni, Francesco e Fedele Ragosta con le rispettive consorti, finiti dietro le sbarre eccezion fatta per la moglie del secondo cui sono stati concessi i domiciliari. Impianto accusatorio complesso, quello prefigurato dalla procura, che abbraccia due fronti: i contenziosi tributari presso le commissioni provinciali e il riciclaggio dei proventi illeciti da attività camorristica. Nello specifico, del clan Fabbrocino, operante nel circondario di Nola, area di provenienza della famiglia Ragosta. Un mix micidiale che, se confermato, complicherebbe notevolmente stabilità e futuro del gruppo industriale campano: non va sottovalutato, infatti, il “dettaglio” che le società finite nel mirino danno lavoro da anni a diverse centinaia di famiglie in una zona dove l’occupazione non è esattamente un problema minore. Si vedrà. Tornando alle ipotesi accusatorie, vi sarebbe stato da un lato il riciclaggio del danaro della camorra nel circuito legale delle imprese e dall’altro un «autentico mercimonio di sentenze e consulenze favorevoli ai ricorrenti dinanzi alle commissioni tributarie». Tutto è nato, paradossalmente, da un ricorso dello stesso Fedele Ragosta opposto ad una verifica fiscale. Di lì è scattato il meccanismo dei controlli che, tra dichiarazioni di pentiti, intercettazioni, rogatorie e verifiche bancarie, ha guidato la Dda fino alla chiusura del cerchio con il sequestro di quote azionarie, fondi, società, attività e beni ricadenti nella disponibilità del gruppo per un valore di circa un miliardo di euro. Una vera e propria mazzata. La holding, che faceva capo al solo Fedele dal momento che da diverso tempo le strade con gli altri due fratelli si erano divise, era operante in quattro settori fondamentali: siderurgia, alimentare (suoi i marchi Lazzaroni e Amaretto di Saronno), ricettività a 5 stelle e immobiliare. Da un’intercettazione emerge anche la figura del papà di Roberto Saviano, il medico Luigi: l’uomo, non coinvolto in quest’indagine, era al centro di un colloquio captato tra uno degli arrestati (Carlo Rossi) e un’altra persona, relativo a un ricorso di 6mila euro presentato dal padre dello scrittore alla commissione tributaria. L’avvocato Mario Papa, difensore di Fedele Ragosta, afferma in una nota che «Nelle misure restrittive vi è qualcosa di paradossale: la Procura non può accusare il Gruppo Ragosta di essersi arricchito con l’evasione tributaria e, contestualmente, non riuscire a giustificare la provenienza della sua ricchezza. Soprattutto, non può accusare Ragosta di riciclare il denaro della camorra quando qualsiasi forma di riciclaggio è stata nettamente esclusa da un decreto di archiviazione emesso appena qualche mese fa. Siamo all’ennesimo utilizzo del concorso esterno come nota di colore: ma, per fare clamore, si rischia di annientare il tessuto produttivo del meridione e lo si consegna al sottosviluppo perenne». di Peppe Rinaldi