Quando la Cgil diceva: "Serve una riforma dell'articolo 18"
L'incontro informale tra ministro del Welfare Elsa Fornero e le parti sociali, a Palazzo Chigi, è ancora in corso e andrà avanti ad oltranza: è la volatona finale, perché non si possono perdere altri giorni. Ci sono anche il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, Susanna Camusso (Cgil), Raffaele Bonanni (Cisl) e Luigi Angeletti (Uil), oltre a Fornero, ministro dello Sviluppo Corrado Passera, viceministro dell'Economia Ernesto Grilli e lo stesso Monti. Nulla di fatto - La riforma, ha chiarito nelle scorse ore Fornero, arriverà con o senza accordo. E il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (che ieri prima di cena ha incontrato il premier Monti e il ministro) ha sì auspicato una posizione comune ("Sarebbe grave non trovare un accordo") ma ha pure invitato i sindacati a "pensare all'interesse comune". Il nodo di lunedì sera, secondo indiscrezioni, sarebbe stato l'articolo 18 e in particolare la norma che prevede il ricorso al giudice per decidere sul reintegro dei lavoratori licenziati per motivi disciplinari. C'è invece l'accordo sul licenziamento per motivi economici od organizzativi, accettato dai sindacati dietro indennizzo da parte delle aziende ai lavoratori. La Cgil si oppone alla riforma: "Nonostante gli sforzi unitari per costruire una mediazione con il governo, l'esecutivo ha manifestato l'intenzione di manomissione dell'articolo 18. E' più che fondato il timore che in realtà l'obiettivo del governo non sia un accordo positivo per il lavoro, ma i licenziamenti facili". Il precedente - Strano a dirsi, ma le barricate dei sindacati sono una novità degli ultimi anni. C'è stato anche un tempo in cui la sigla più rossa che c'è, la Cgil, riusciva ad immaginare scenari più moderni e al passo coi tempi. Nel giugno 1985, per esempio, l'assemblea del Cnel approvò un documento in cui si chiedeva una revisione proprio dell'articolo 18, il totem dei lavoratori. L'assemblea, di cui facevano parte l'allora segretario Cgil Luciano Lama e il presidente di Confindustria Vittorio Merloni, proponeva una limitazione drastica dei casi di reintegro in presenza di licenziamenti individuali. Merloni votò contro perché voleva soluzioni più dure. Il documento, riproposto dal Sole 24 Ore, è illuminante e sorprendente: si prevedono politiche di tutela del lavoro "più elastiche e golbali di tutela dell'occupazione, coordinata con una politica di mobilità". Si ricorda come l'obbligo di reintegro fosse inizialmente previsto solo per i licenziamenti discriminatori (per esempio quelli che andavano colpire attivisti sindacali) e che per un pasticcio legislativo è stato esteso anche a tutti i licenziamenti ingiustificati, fondendo articolo 18 e articolo 35. Una generalizzazione, anzi un'anomalia che secondo il documento licenziato dal Cnel "distorce le regole della libera concorrenza e si distanzia dagli ordinamenti dei Paesi industrializzati". Ne deriva che la "reintegrazione non trova riscontro in alcun altro ordinamento e va limitata ai casi di licenziamento nullo per illiceità del motivo". A dire e scrivere queste cose era anche Lama, certo non un picconatore dello stato sociale.