De Benedetti, il nuovo partito: con Saviano fa l'anti-Monti
Il segno dei tempi è nel cambio di scenario: non più l’arena smisurata e ruggente del Palasharp, ma il più raccolto Teatro Smeraldo, sempre a Milano. Non sono più i giorni feroci dei forconi e delle torce da brandire contro il tiranno Berlusconi, e dunque Libertà e Giustizia è privata dell’arma principale di consenso: l’odio per il Cavaliere che pure viene evocato a ripetizione («Guardate che torna...»). L’assenza del Babau, tuttavia, potrebbe servire allo scopo, nemmeno troppo nascosto, di conquistare il predominio dell’area progressista. Gustavo Zagrebelsky, Roberto Saviano, Carlo De Benedetti, Umberto Eco, Concita De Gregorio, Gad Lerner in collegamento dagli studi dell’Infedele («Ciao Gad»; «Ciao Gustavo», si sbaciucchiano via etere), poi il sindaco di Milano Giuliano Pisapia a far da ciliegina sulla forca: ieri sera le teste di cuoio di L&> si sono riunite per celebrare i propri dieci anni di vita e presentare Dipende da noi, chilometrico manifesto che ha come sottotitolo: «Dissociarsi per riconciliarsi». Il testo è soporifero, Lella Costa, chiamata a leggerlo, infila qualche battuta qua e là per evitare la catalessi, poi scodella frasi tipo: «L’ascesa della tecnica al governo è apparsa l’unica alternativa al disastro finanziario, economico e sociale. La dobbiamo accettare come pharmakon. Ma la medicina che guarisce può diventare il veleno che uccide. Dobbiamo sapere che un governo può essere tecnico nelle premesse, ma non nelle conseguenze delle sue azioni». Il pastone confezionato da Zagrebelsky è talmente pesante che mentre quest’ultimo scandisce la lezioncina, Lerner gli chiude il collegamento a bruciapelo, lasciandolo piuttosto indispettito. Nonostante la noia, la sostanza è chiara: è il momento di andare oltre il governo Monti. Finché i tecnici servivano per liberarsi di Silvio, giusto prostrarsi al sommo Mario e ai suoi profeti. Ora che il Nemico è stato eliminato bisogna riprendere le redini della politica. Napolitano, spiegavano Eco e De Benedetti assisi in prima fila, ha concesso alcuni mesi di babysitteraggio ai partiti. I quali, dal 2013, hanno il compito di tornare in campo. Magari, precisava Concita dalle vette dei suoi tacchi a spillo, «evitando che la stessa classe politica si ripresenti esattamente uguale». Esce allo scoperto, dunque, un’opposizione d’élite (culturale, finanziaria, mediatica) all’esecutivo degli androidi. Un manipolo guidato da De Benedetti, il quale pochi giorni fa a Servizio Pubblico di Michele Santoro pontificava sulla necessità di archiviare questo periodo storico e si schierava - proprio lui! - con gli indignati. Si ricompatta la truppa che continua a seguire la linea politica dettata da Repubblica ed Ezio Mauro quando ancora regnava Berlusconi. Predicavano la necessità di un «papa straniero» per il Pd, un personaggio in grado di far piazza pulita di Pier Luigi Bersani - ieri a malapena citato per nome ma infilazato a ripetizione - e l’individuarono in Roberto Saviano. Poi è andata come è andata, ma sotto la cenere le braci ancora covavano: ed ecco che torna ad accendersi la fiammella. È significativo che ieri al fianco della rockstar iper scortata Saviano (per lui standing ovation dello Smeraldo) ci fosse anche Pisapia. Giunto in ritardo di mezz’ora, accolto da scroscianti applausi, dagli squittii della Costa («È il sindaco più bello d’Italia!»), è stato incoronato da Zagrebelsky. «Lei, signor sindaco, dimostra che qualcosa si può fare», lo lisciava Gustavo, cinguettante. E il sindaco: «Chiamami Giuliano...», tanto son fra amichetti del circolino. Egli, oltre che ex legale di De Benedetti, è l’incarnazione della sconfitta di Bersani e del Pd. Non a caso ha ribadito la volontà di cambiare la politica, si bullava delle primarie che hanno visto il Pd uscire a pezzi, parlava di ripartendo dall’esempio milanese, si comportava da leader e discettava di tv, giustizia, di Berlusconi che potrebbe tornare... Pisapia ha le giuste frequentazioni di salotto, ha una moglie che lavora a Repubblica (Cinzia Sasso) ed è, per giunta, la più credibile alternativa disponibile a Nichi Vendola. Che poi non sappia governare, poco importa. L’iniziativa di ieri sera rappresentava anche un calcione nel sedere al poetastro pugliese di Sel, un altro che aspira a schiodarsi dalla Regione (dove infatti appare il meno possibile) per dedicarsi alla presa di Roma e del Paese tutto. Libertà e Giustizia fa a pezzi i partiti con piglio da girotondini in pensione, si barcamena fra un giustizialismo che non può non attrarre i dipietristi e una patina altoborghese capace di ingolosire i liberal e i moderati, gli azionisti della vecchia scuola. Un pillolone per palati sinistri ben indorato con il nasone zuccheroso di Pisapia e della sua «aria nuova» e con la pelata di Saviano. Quest’ultimo ieri si è esibito in un comizio, dicendo che il governo «deve» approvare la legge sulla corruzione; ha pontificato sulla Tav, l’Expo, la criminalità organizzata e il capitalismo (per lui son la stessa cosa); ha fatto un po’ di struscio con Concita e gli altri dell’élite. Che Roberto si aspetti un incarico sotto la Madoninna? Chi lo sa, intanto incassa l’abbraccio di Pisapia, che gioiva: «Sono orgoglioso di dire che è un nuovo Milanese!». Oddio, far fuori Bersani, Vendola e Monti è un sogno eccitante anche per noi. Ma la squadra De Benedetti-Saviano-Pisapia è un incubo uguale se non peggiore. Dietro il sipario del teatro, c’è sempre la folla berciante del Palasharp, e a riprendere i forconi ci impiega un attimo. di Francesco Borgonovo