Alfano chiama la Lega Monti inizia a tremare

Andrea Tempestini

La maggioranza tarallucci e vino andata in scena nelle ultime settimane è già finita. E per il governo di Mario Monti la strada torna a salire. La primavera politica che portava i partiti a parlare di riforme istituzionali ed elettorali condivise, e anche del proseguimento della grande alleanza a sostegno di Monti oltre il 2013, sembra tornata in soffitta. Il “volemose bene” bipartisan è costretto alla pensione anticipata. Perché i partiti hanno ricominciato ad alzare la testa, a sostenere le loro istanze, a segnare il proprio territorio elettorale. E così addio dialogo e confronto istituzionale: nell’ultima settimana si è tornati allo scontro politico tra leader che, oltre a pensarla all’opposto su diversi temi, devono anche pensare alla propria sopravvivenza politica e a evitare le trappole che nemici esterni, ma soprattutto interni, preparano davanti al loro cammino. Così ecco che Angelino Alfano trova miracolosamente il “quid” (che Silvio Berlusconi gli aveva imputato di non avere) e rialza l’asticella dello scontro con il Partito democratico. Durante la settimana ha fatto saltare un vertice di maggioranza dove si sarebbe parlato di giustizia e riforma della Rai. E ieri dal palco di Orvieto ribadisce che «il Pdl non è in ginocchio, ma è vivo e vuole stare al centro della scena». E manda un avviso a Monti: «Saremo leali e sosterremo il governo, ma sottolineando le nostre priorità, come il lavoro». Ironica l’immediata risposta di Pier Luigi Bersani. «Per evitare di parlare di corruzione e televisione Alfano è disposto anche a occuparsi del lavoro: benvenuto, noi lo facciamo da anni», replica il segretario del Pd. E poi aggiunge: «Sentendo i toni usati da Alfano mi chiedo se siamo già in campagna elettorale. Nel caso ci tenga informati, perché vorremmo partecipare». Un altro messaggio di Alfano, quello sulla «sinistra che porta dritta ai matrimoni gay come in Spagna», sembra rivolto direttamente a Pier Ferdinando Casini e alla sua tentazione di fare alleanze coi democratici. L’obbiettivo è quello di non lasciare l’elettorato moderato e cattolico nelle mani del leader dell’Udc. «Il nostro calo di consensi è dovuto proprio a un distacco del mondo cattolico nei nostri confronti. Quello spazio è nostro e va riconquistato. Casini pensava di avere davanti una prateria, ma si ritroverà con un orticello», spiega un dirigente del Pdl da via dell’Umiltà. Insomma, la guerra di Alfano è cominciata. Una battaglia che serve al partito, ma soprattutto a se stesso, per riconquistare la fiducia del Cavaliere e mettere a tacere le critiche interne nei suoi confronti, specie da parte degli ex An, ma anche da fazioni ex azzurre. Monti ha capito subito l’antifona, ha inteso che «lo spread tra le forze politiche a sostegno del governo si stava alzando troppo» ed è corso ai ripari, decidendo di non convocare più vertici di  maggioranza, ma tornare a incontri bilaterali, come nelle prime settimane di vita dell’esecutivo. Ma sembra un po’ come mettere la polvere sotto il tappeto. Se ci sono problemi nella coalizione, non è evitando i “vertici Abc” (come li ha ribattezzati Francesco Verderami sul Corriere) che si risolveranno. Ma almeno Alfano, Bersani e Casini non daranno l’idea di far parte di una maggioranza politica. Parola che ai primi due fa venire l’orticaria. Per l’esecutivo, dunque, sono in arrivo giorni difficili. Perché le riforme in arrivo in Parlamento, dal lavoro alle semplificazioni, dividono le forze politiche tra di loro, ma anche al loro interno. A complicare il quadro per l’esecutivo sono anche i segnali di intesa che da qualche giorno si lanciano Pdl e Lega. Sul caso dell’ostaggio italiano ucciso in Nigeria e su quello dei due marò detenuti in India, il partito berlusconiano e quello di Bossi hanno parlato con una voce sola. «Staccate la spina a Monti e poi parliamo», ha detto ieri Bobo Maroni ad Alfano. Ipotesi impossibile, allo stato attuale, ma il dialogo tra i due partiti dell’ex maggioranza è ripreso, anche grazie alla sopravvenuta debolezza del Carroccio per il caso delle tangenti al Pirellone. Un episodio che accomuna il Senatur al Cavaliere sul fronte della giustizia. di Gianluca Roselli