Disastro del ministro Terzi L'uomo scelto da Fini
«La ferma protesta» del governo italiano nei confronti dell’India coincide con la detenzione dei due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre nel carcere di Poojappura, a Trivandrum. Grazie a Dio «stanno bene», come ha riferito il sottosegretario agli Esteri Staffan de Mistura in missione sul luogo. Lui sta lì, a garantire la pressione italiana. A qualcosa è servito, se «abbiamo ottenuto che portino la loro divisa in ogni momento e che siano separati da tutti i detenuti comuni». Così, i nostri due connazionali hanno potuto parlare al telefono con il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, che li ha chiamati per garantire loro che «l’Italia tutta è con voi, al vostro fianco» e «il massimo impegno delle istituzioni italiane per una soluzione dalla vicenda». A sorpresa hanno potuto incontrare alcuni giornalisti italiani, ai quali hanno dichiarato: «Ci trattano bene, abbiamo fiducia nel lavoro positivo che stanno facendo per noi le istituzioni». Quel che non possono immaginare sono le incertezze e gli errori della diplomazia, ammessi da de Mistura dopo «un vero e proprio braccio di ferro» notturno: «Aspettavamo la prova del nove, quella balistica, per poi accelerare l’aspetto internazionale. Dopo quello che è avvenuto ieri non aspettiamo più perché c'è stata un’accelerazione nella direzione sbagliata». Il responsabile della prigione, Alexander Jacob, cercava di applicare solo una parte dell’ordinanza del giudice di Kollam, ignorando quella che ipotizzava una diversa sistemazione dei due militari. È questo, ammette il diplomatico che «ci ha fatto capire che la risposta doveva essere l’ingresso di una nuova fase, più energica».Ecco perché il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ha atteso finora per convocare l’ambasciatore indiano a Roma, Debrabata Saha ed esprimergli l’indignazione di Roma. Un cahier de doléances già noto, peraltro, con il quale si ribadisce ulteriormente l’illegittimità del processo «per carenza di giurisdizione» e si lamentano le «inaccettabili» misure adottate con il fermo giudiziario, oltre a definire «non soddisfacenti» le misure attenuative. Ma senza minacce, nemmeno velate, di rappresaglie economiche o di altro tipo. Tutto sommato, un ordinario incontro fra burocrati della diplomazia, più abituati ai cocktail fra feluche che alla tensione delle relazioni internazionali. Di tirar fuori gli attributi non se ne parla, nemmeno ora che la situazione è precipitata a causa della loro inerzia. Semmai, sono le critiche sulla strategia adottata nelle ultime tre settimane a far reagire il portavoce della Farnesina, Giuseppe Manzo: «La linea del governo italiano è stata sin dall’inizio coerente, determinata e unitaria» e l’Italia «continuerà a sollevare in tutte le sedi», il caso sul quale vi è un «interesse convergente della comunità internazionale». Non si direbbe, almeno a giudicare dalla debole reazione dell’Unione europea, che fa sapere, attraverso un portavoce della commissaria Catherine Ashton, che «segue da vicino» la vicenda e di essere «in stretto contatto con le autorità italiane», anche se finora sostiene di non aver ricevuto richieste di assistenza. Le rispondono, per una volta con un’iniziativa bipartisan, gli europarlamentari italiani. Manifestano davanti all’aula con le foto dei due militari e la scritta «salviamo i nostri marò». Il vicepresidente dell’Europarlamento, Gianni Pittella, del Pd, si limita a sollecitare un intervento di Bruxelles. Ma la vicepresidente dell’Europarlamento Roberta Angelilli attacca direttamente la Ashton: «Noi condanniamo questa risposta sia dal punto di vista sostanziale, perché l’Alto rappresentante deve tutelare gli Stati membri, sia dal punto di vista formale, perché non può derubricare il caso come una mera questione bilaterale tra un paese Ue e uno extra Ue». Del resto, ricordano il capogruppo del Pdl Mario Mauro e il vice-coordinatore nazionale di Giovane Italia Carlo Fidanza, «la presenza di militari italiani sulle navi in acque internazionali nel contesto della lotta alla pirateria è figlia di una decisione della comunità internazionale», quindi è «una realtà Ue che l’Ue deve riconoscere». In attesa che le istituzioni italiane ed europee si sveglino, una parte d’Italia marcisce in galera.di Andrea Morigi