Pressione fiscale in Italia: le cifre del record del mondo

Lucia Esposito

Detto da lui, significa davvero che il limite non è più superabile. In Italia sui lavoratori dipendenti c’è una pressione fiscale «proibitiva». Parola di Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze dei governi di centrosinistra. La pressione fiscale «è aumentata nel 2011 a causa delle misure discrezionali introdotte, nel 2012  e negli anni successivi  supererà il 45%. L’Italia è dunque un Paese ad alta tassazione come risulta anche nei confronti internazionali, inferiore soltanto a quella dei Paesi del Nord Europa. Se si tiene conto che il Pil pro capite italiano è più basso di quello di Francia, Germania e Inghilterra, lo sforzo fiscale nel nostro Paese risulta ancora più elevato. Se si considera infine che l’evasione fiscale in Italia è ben più alta che all’estero, l’incidenza sui contribuenti corretti è chiaramente proibitiva». Quel «proibitiva» Visco l’ha pronunciato di fronte alla commissione Finanze del Senato guidata da Mario Baldassari, che da mesi (ancora prima che si insediasse Mario Monti) sta svolgendo una indagine conoscitiva sulla riforma fiscale che Giulio Tremonti aveva presentato e ora il nuovo premier vorrebbe correggere. Di fronte alla commissione sono sfilati i migliori cervelli di cui disponga l’Italia del fisco: tributaristi, economisti, direttori di centri studi, dirigenti pubblici del settore, fiscalisti, commercialisti, docenti universitari della materia. Ognuno ha portato tabelle, considerazioni e bozze di soluzioni. Solo nelle ultime settimane sono sfilati oltre al citato Visco l’ex commissario Consob Filippo Cavazzuti, il direttore della Fondazione Rodolfo De Benedetti, Tito Boeri, l’esperta di tassazione familiare dell’Università di Bologna, Chiara Rapallini e il professore Antonio Pedone, ex banchiere, ordinario alla Sapienza. Le analisi sono sostanzialmente tutte identiche: l’Italia sta morendo di tasse, che soffocano l’economia reale, impoveriscono gran parte dei contribuenti onesti, impediscono la ripresa. Pedone ha portato con sé le incredibili statistiche dell’Ocse (Oecd) che spiegano come dalla riforma tributaria italiana del 1973-’74 in poi «il prelievo tributario complessivo si è accresciuto in Italia più che in qualsiasi altro paese europeo e dell’area Ocse e più che in qualsiasi altro periodo dei 150 di Unità  del Paese». Siamo campioni del mondo di tasse, perfino più che in evasione fiscale. «Dal 1975 ad oggi», ha spiegato Pedone, «la pressione tributaria in Italia è aumentata in misura più che quadrupla rispetto a quella media dei paesi industrializzati dell’area Ocse (18 punti di Pil rispetto a poco più di 4 punti); più del doppio che in Francia e sei volte più che in Germania, per non parlare del Regno Unito e degli Stati Uniti dove, nello stesso periodo, la pressione tributaria complessiva è addirittura diminuita». Non solo: «Nel corso dell’ultimo quindicennio e in particolare dall’avvio dell’Unione monetaria europea, l’Italia è l’unico fra i maggiori Paesi dell’area dell’euro che presenta un incremento della pressione tributaria complessiva (più 1,4 punti di Pil), rispetto a una riduzione di tutti gli altri maggiori Paesi e dell’insieme dei paesi dell’area euro, ma anche della media di tutti i paesi dell’Unione europea (-2,1 punti di Pil)». Grazie alle manovre di emergenza del 2011, concluse con il salva-Italia di Monti, questo divario «tenderà a persistere e forse ad accentuarsi».  Con una aggravante, ben sottolineata da Cavazzuti: «Nel corso degli anni 1988-2009 le entrate pubbliche hanno quasi sempre e soltanto inseguito la crescita dello stock del debito pubblico». In questo periodo grazie agli spread spesso bassi, è accaduto che si riuscisse a ridurre la spesa per interessi, ma «la spesa primaria dopo il punto minimo dell’anno 2000 è sempre cresciuta». Che cosa è accaduto secondo Cavazzuti? È  stata «operata una cospicua redistribuzione della spesa pubblica dai detentori dei titoli di Stato prevalentemente a favore di tutti coloro che usufruiscono delle mille provvidenze della spesa pubblica. Infatti mentre la spesa per interessi passivi è scesa dal 6,3% al 4,5% del Pil, la spesa al netto di questa è cresciuta dal 41,8% del Pil al 46,7%». Dunque la vera origine della crescita bassa italiana è nella pressione fiscale intollerabile nei confronti dei ceti produttivi. Che hanno peggiorato la loro condizione e il loro livello di vita in termini nemmeno paragonabili con tutti gli altri paesi competitori. In compenso i mangia-soldi a tradimento dello Stato sono cresciuti. Un quadro così, su cui tutti i tecnici sono concordi, era il presupposto per fare il contrario esatto di quel che ha compiuto fin qui il governo Monti: l’impianto del decreto salva-Italia invece di essere una medicina, aggrava la malattia e il colpo di grazia rischia di arrivare ora dalla firma dell’accordo europeo sul fiscal compact. Perché - come ha calcolato sempre Cavazzuti, con quell’accordo mai avessimo un Pil in crescita costante nominale del 3% (e non è sicuro) e un debito pubblico che non superi i 1900 miliardi di euro in partenza, l’Italia non potrebbe fare altro che stringere ancora di più la cinghia e rispettare il pareggio di bilancio nella speranza che «trascorrano almeno 7 anni affinchè il rapporto debito/Pil scenda appena sotto il 100% e circa 24 anni per raggiungere il 60% del Pil». Altro che spread, qui l’Italia rischia di morire di Montite acuta… di Franco Bechis