Finalmente Monti sale sul treno "LaTav si fa, basta violenze"
La faccia ce l’ha messa. Reduce dal vertice europeo in cui ha ammanettato - dando corso a decisioni prese dal governo precedente - la politica fiscale italiana a quella comunitaria, il premier Mario Monti si è dedicato al dossier della Tav. Prima una riunione con i ministri competenti (Interno, Sviluppo, Giustizia e Ambiente, più il commissario Virano e il sottosegretario Catricalà), quindi l’attesa conferenza stampa, piuttosto rapida e senza domande, durante la quale ha letto parti di un comunicato prima di procedere a braccio. Con qualche giorno di ritardo, la posizione di Monti è quella che era lecito attendersi fin da quando il livello di tensione è diventato preoccupante nei giorni scorsi. Il premier ha detto parole inequivoche sulla ineludibilità del progetto dell’Alta velocità. Con sottile precisione il Professore ha sottolineato di non aver dato nulla per scontato, a cominciare dalle scelte prese dai (numerosi) esecutivi che l’hanno preceduto sul tema. Il senso dell’opera è stato vagliato, il dialogo c’è stato, ma questo è il momento dei lavori. Altro punto decisivo: a parte la richiesta di «moratoria» sulla Tav fatta da Antonio Di Pietro, quello che da ministro l’ha approvata, del «tavolo» invocato per prendere tempo il premier non ha fatto cenno. Tra gli altri, ad appellarsi a una nuova riflessione «senza riserve mentali» erano stati personaggi drammaticamente interessati alla Tav come il presidente della regione Puglia Nichi Vendola e i sindaci di Bari e Napoli (i cui elettori forse preferirebbero treni nelle loro zone di competenza). I veri tavoli - Più concretamente, il premier ha fatto capire di essere disposto a trattare sul vero nodo che interessa molti amministratori del territorio coinvolto. Si tratta di forme di compensazione o accordi economici con le imprese sul campo che permetteranno, lontani dai clamori politici nazionali, di ridurre ampiamente il dissenso «istituzionale», che in larghissima parte non coinvolge l’opera tout court. Così facendo, diventa in linea teorica più semplice distinguere alcune comprensibili rivendicazioni dalla fusione di estremismi che ha dato vita agli episodi di violenza dei giorni scorsi. Le parole più attese sono state proprio quelle sugli episodi di «violazione della legalità» che Monti ha stigmatizzato, spiegando che non saranno più tollerati. Con piglio fedele al suo cursus honorum, il premier si è di nuovo appellato all’Europa per spiegare che la Tav si farà. Con una venatura «sociale» che, nell’apparente difficoltà a riconoscersi in una dimensione nazionale, ha il suo perché. Monti ha ribaltato l’incredibile assunto di molte proteste secondo cui il traforo della Val Susa sarebbe da evitare per scongiurare tensioni: il «disagio», ha detto, è conseguenza di un rischio di perdita di competitività nel confronto coi partner europei. E il gap infrastrutturale non può che aumentare questo disagio, ha fatto capire con una domanda retorica e molto professorale: «Vogliamo noi lasciare andare dolcemente alla deriva, staccandosi dall’Europa, questa nostra penisola, rendendosi così sempre più difficile per l’economia italiana risalire, essere competitiva, creare posti di lavoro, consentire una maggiore equità, un maggior benessere sociale ed economico?». Pugno di ferro in loden Anche il nesso rivendicato col cammino delle (stentate) liberalizzazioni («il nostro governo è impegnato in tutti i campi a superare i blocchi che vengono da categorie particolari in nome dell’interesse generale per creare sviluppo: è anche il caso della Tav») è in linea con un pugno che, se è di ferro, è ben nascosto sotto il loden. Sarà rimasto deluso chi si aspettava l’annuncio di leggi ad hoc, o il Daspo di cui si era vociferato nel pomeriggio. Monti non ha fatto cenno all’uso dell’esercito, né ad altri provvedimenti. Pochi minuti dopo la conferenza stampa, il leader No Tav Perino ha soffiato minacce: «Monti ha detto un sacco di cose roboanti e ha mostrato i muscoli. Gli vogliamo bene, ma eviti le prove di forza con noi». A ben vedersi, il premier ha schivato ogni prova di forza, limitandosi all’ovvia esigenza di contemperare la tutela della libertà di espressione con l’opposizione alle violazioni della legalità. A parole, tutto bene. È auspicabile che non sia costretto a mostrare coerenza con i fatti, a cominciare dalla manifestazione di oggi a Roma. di Martino Cervo