L'Unità che specula sui morti vuole darci lezioni su Abbà
«Ignobile», «sconcertante», «cinismo e spregiudicatezza di cui Libero è tra i leader», «indecente». Il tutto - perché sia chiaro dall’inizio che qui non si fa della retorica - sotto il misurato titolo «Se si perde anche l’umanità». Ecco il commento riservato ieri a questo giornale da parte dell’Unità che - fattasi saltare la mosca al naso per il sondaggio on line del nostro sito in cui si chiedeva se Luca Abbà se la fosse o meno cercata - non ha resistito al riflesso condizionato di impartire a noi reprobi il pistolotto su cosa si può dire e cosa no. Così, il vicedirettore Pietro Spataro ha buttato giù un breve ma sapido corsivo per spiegare che, dai e dai, per colpa di Libero «diventa labile non solo il confine tra la verità e la menzogna, ma anche quello tra la vita e la morte». Di consolante c’è almeno che la critica viene dai massimi esperti del settore. Decenni di onorata storia come organo del Pci prima e delle sue ormai numerose riedizioni poi fanno del quotidiano fondato da Antonio Gramsci la maggiore autorità nazionale in materia di pelo sullo stomaco. Seguono esempi, purtroppo limitati solo al periodo più recente perché a dover partire dai tempi belli di Stalin e Togliatti toccherebbe fare un’enciclopedia a dispense. Un buon punto di partenza può essere l’ormai leggendario titolone «Bossi-Fini, un’altra strage» con cui nel 2002 l’allora direttore Furio Colombo dette conto del naufragio di un barcone di immigrati vicino Lampedusa. Il sangue di quattordici innocenti buttato a mo’ di gavettone contro i due ministri autori della legge sull’immigrazione (i quali nulla avevano a che vedere con l’affondamento) per fare polemica col governo. Qualche tempo dopo, il salto di qualità: l’Olocausto. Con l’avvicinarsi delle infuocate Regionali del 2005, l’Unità prese per buona e pubblicò la testimonianza dell’ottuagenario Mario Limentani (sopravvissuto ai lager) il quale sosteneva di essere stato fermato e picchiato nel ’41 a L’Aquila dal padre del candidato di centrodestra Francesco Storace. Successe un finimondo, specie quando uscì fuori che Storace senior nel ’41 aveva 12 anni e viveva a Sulmona. La cosa si è trascinata per anni, coi legali dell’Unità impegnati a tentare di scaricare tutta la colpa su Limentani ricorrendo, secondo la denuncia del legale di Storace, persino alla forza pubblica per far trascinare l’ormai quasi novantenne a deporre in tribunale. A controllare la notizia prima di pubblicarla, ovviamente, manco ci avevano pensato. In un modo o in quell’altro, i morti c’entrano sempre. Come il giorno di Smolensk, quando quasi cento membri dell’establishment polacco a partire dal presidente Kaczynski persero la vita in un incidente aereo. Che ispirò il vignettista Staino a produrre per l’indomani una leggiadra strip in cui Bobo si doleva perché «è la solita storia: a chi troppo e a chi niente»: i riferimenti al governo allora (2010) in carica in Italia erano abbastanza palesi. E se non muoiono da sé, ci si può sempre pensare. A settembre 2008, l’inserto satirico «M» pubblicò una vignetta con un disoccupato che, pistola puntata e occhio spiritato, preannunciava una imminente visita «ar ministero per ringrazziatte, a Renà (Brunetta, all’epoca al centro della polemica sui famosi fannulloni, ndr)». Altre volte la deriva è almeno un po’ più incruenta. Come le foto della papi-girl Barbara Guerra in tenuta da sexy poliziotta spacciate per prova regina della Sodoma di Arcore. E risultate in seguito essere state scattate a una festa di Halloween in un locale di Milano. O come la volta che per colpa dell’Unità venne fuori un guaio diplomatico con l’Argentina, dopo che il quotidiano rosso aveva scritto di un Berlusconi scherzante sui desaparecidos: «Erano belle giornate, li facevano scendere dall’aereo...». Quando gli ambasciatori già limavano la dichiarazione di guerra, qualcuno ascoltò l’integrale del comizio del Cav e si accorse che il discorso era al contrario: «Di me», aveva detto Silvio, «hanno detto di tutto, mi hanno paragonato a quel dittatore argentino che faceva fuori i suoi oppositori portandoli in aereo con un pallone, poi apriva lo sportello e diceva: c’è una bella giornata, andate fuori a giocare. Fa ridere ma è drammatico». Quando ci fu il raid anti-immigrati al Pigneto, a Roma, scrissero che l’aggressore era un nazi e che c’entrava Alemanno. Il picchiatore, emerse dopo, aveva il tatuaggio del Che. Nulla batte, però, la volta che l’Unità prese sul serio un vecchio film comico egiziano spacciandolo per parodia del nostro dissoluto premier, con tutto il corollario di «oggesù, anche il terzo mondo ride di noi» che si può immaginare. Perché quando la spregiudicatezza ce l’hai nel sangue, il guizzo lo fai anche senza accorgertene. Ps- Nella stessa pagina dove si certifica la perdita dell’umanità da parte di Libero compaiono un “Anonymus” scritto senza «o» e un «Castelli: s’è l’è cercata» scritto in quale lingua non è chiarissimo. Urgono interventi contro l’analfabetismo di ritorno. Il governo dei Prof è pregato di provvedere. di Marco Gorra