Bechis: 115 miliardi in sanità per finire legati in ospedale
Agli italiani la sanità pubblica costa 115 miliardi di euro, un botto. Venti anni fa costava meno della metà: 49,6 miliardi di euro. Per finanziarla sono raddoppiate quasi ovunque anche le tasse. Per la sanità gli italiani hanno tirato la cinghia come pochi altri popoli. Non lo hanno fatto per finire in coma 4 giorni legati con una cinghia a un lettino del pronto soccorso come è accaduto a una signora di 59 anni al Policlinico Umberto I di Roma. Il più grande ospedale della capitale, quello che dovrebbe essere il fiore all’occhiello della sanità italiana, ha offerto per l’ennesima volta di sé l’immagine esattamente opposta. Pensando forse di metterci una pezza, è riuscito a peggiorare ancora di più la situazione Claudio Modini, il direttore del Dea (il pronto soccorso) dell’Umberto I, spiegando che il caso della signora legata come un salame e abbandonata sul lettino con qualche flebo che la idratasse, non è affatto isolato: «Accade così spesso, del resto il problema della mancanza di posti per il ricovero non è una novità». Spendere 115 miliardi di euro all’anno per avere una sanità così è obiettivamente come buttarli dalla finestra. Quando qualche caso clamoroso come questo si impone alla cronaca, tutti naturalmente si indignano e minacciano grandi provvedimenti, promettendo cambiamenti. I diretti responsabili provano maldestre difese, e poi iniziano il più classico degli scaricabarili. Non è colpa mia se non mi danno posti letto, ha in sostanza detto ieri il responsabile del pronto soccorso. Poi non sarà colpa della direzione dell’ospedale se mancano i fondi necessari ad aumentare i posti letto, non sarà colpa della Regione se il patto di stabilità con il governo nazionale obbliga a stringere i cordoni della borsa, e così via. Sempre colpa dei soldi che non ci sono, della crisi economica, e va a finire che la povera signora al lettino l’ha legata per quattro giorni lo spread. Ma non è quello finanziario il problema: 115 miliardi per la sanità si spendono ogni anno, e quelli sono soldoni veri. In rapporto al Pil sono più o meno nella media delle statistiche internazionali, solo che in Italia quelle risorse si spendono male. Come quasi tutte le inchieste sul sistema sanitario hanno evidenziato si spende troppo in personale, in genere per quello che non serve. Si spende troppo in farmaci e in acquisti di beni e servizi, spesso inutili. La corruzione assorbe buona parte di queste risorse e mangia posti letto che sarebbero necessari. Il caso Umberto I racconta però qualcosa in più dell’aspetto finanziario: lì il vuoto vero non era solo economico, ma semplicemente umano. Eppure proprio in quello stesso Policlinico all’inizio di questa legislatura era iniziata un’ispezione della stessa commissione di inchiesta presieduta da Ignazio Marino che oggi ha scoperto la donna legata al lettino. Negli scantinati dell’ospedale un carabiniere dei Nas aveva scoperto quello che cito testuale dalla sua relazione: «Su alcune scaffalature giaceva un numero considerevole di contenitori di vetro del tipo generalmente usato per la conservazione di materiale biologico. All’interno erano contenuti feti di varie grandezze, per alcuni di essi si trattava con ogni probabilità di feti a termine, ossia neonati e bambini. Ho osservato che i feti all’interno dei contenitori erano conservati con formaldeide. All’esterno dei recipienti, ma non sempre, era applicato un cerotto riportante un nome. Oltre ai contenitori in vetro, vi erano altri contenitori di plastica rigida, del tipo usato per lo smaltimento dei rifiuti sanitari speciali. All’interno di questi vi erano reperti, feti e corpi di grandezze diverse». Piccoli cadaveri, trattati come rifiuti umani. Quel modo di guardare i morti la diceva lunga anche su come si guarda un paziente vivo. Tutti si scandalizzarono, scaricarono i barili, promisero grandi cambiamenti. Poi la gente dimentica, e allora passa tutto in cavalleria. Come accadrà anche questa volta. di Franco Bechis