Ruby rifiutò la corte del Cav: "Disse che era maggiorenne"
Adesso sì che entra nel vivo il cosiddetto processo Ruby - uno dei quattro in cui Silvio Berlusconi è imputato a Milano. Com’è noto, la vicenda è quella relativa alla ragazza marocchina - minorenne all’epoca dei fatti - e i suoi presunti rapporti sessuali a pagamento con l’allora presidente del Consiglio - di qui l’accusa di prostituzione minorile -, e poi la telefonata dello stesso premier in Questura, dove lei era stata condotta poiché sospettata di furto, per farla affidare alla consigliera comunale del Pdl Nicole Minetti - ed ecco l’accusa di concussione. Il tutto condito con la convinzione più volte ribadita dallo stesso Berlusconi che quella giovane fosse nipote dell’ex presidente egiziano Mubarak, e ambientato nelle feste di Arcore caratterizzate dal famoso bunga bunga - balletto più o meno innocente o sorta di rito sconcio? In ogni caso questo è il quadro, peraltro universalmente noto. Molto attesa era la deposizione di Ermes Cafaro, l’agente di Polizia che nel tardo pomeriggio del 27 maggio 2010 fermò proprio Ruby-Karima nei pressi di un centro estetico milanese di Corso Buenos Aires, denunciata da un’ex coinquilina per un presunto furto di soldi gioielli. Cafaro, interrogato dal pm Sangermano, ha spiegato che subito dopo il fermo emerse il precedente per furto della ragazza, e anche il fatto che «si era allontanata circa un anno prima da una comunità a Messina». Ragion per cui chiamò il magistrato minorile Annamaria Fiorillo, la quale dispose di «affidarla a una comunità, e se non ci fosse stato posto dovevamo trattenerla in Questura fino al giorno dopo». Ruby «si mise a piangere», e comunque venne portata al commissariato Monforte-Vittoria per «la stesura degli atti», per poi essere accompagnata in Questura per «il foto-segnalamento». Si sa ora che sarebbe poi stata affidata a Nicole Minetti, anche in seguito alla telefonata del Cavaliere. Tornando alla deposizione di Cafaro, è proprio in commissariato che Ruby comincia a lasciarsi andare con l’agente. A confidarsi, addirittura. «Mi disse che da grande avrebbe voluto fare il carabiniere, io risposi che visti i precedenti e il fatto che non aveva nemmeno i documenti era impossibile. Ma lei rispose che ci avrebbe pensato Silvio a farle avere i documenti, e mi ripeteva questo nome, Silvio, ma lì per lì non capivo a chi si stesse riferendo». E poi «mi disse che Silvio l’avrebbe aiutata perché lei era la nipote di Mubarak»». Poi ecco che il poliziotto riferisce di quel che Ruby gli raccontò sulle feste di Arcore. Con un particolare che potrebbe rivelarsi processualmente importante: Ruby disse all’agente che «Berlusconi non era a conoscenza che lei fosse minorenne. Sapeva che era marocchina, ma si era dichiarata maggiorenne», mentre invece Lele Mora - tramite il quale era stata invitata a villa San Martino - «Lele Mora sì, lo sapeva». Proprio l’inconsapevolezza della sua minore età da parte di Berlusconi, se venisse accertata, potrebbe risultare importante per la linea difesiva. C’è poi il versante più pruriginoso, sempre in relazione alle confidenze di Ruby al poliziotto. Lui gli disse che «il presidente Berlusconi le fece delle avances sessuali, senza specificare di che tipo, cosa che lei aveva rifiutato». Raccontò di una festa ad Arcore, quella del 14 febbraio 2010, e ci andò tramite Lele Mora e poi lì trovò uomini e donne e le seconde che si «spogliavano» e per questo « non si era divertita» e anzi si era sentita «a disagio: disse che lei voleva andare via e Berlusconi si meravigliò». In ogni caso, sempre secondo le confidenza della ragazza all’agente, «si fece accompagnare dalla scorta di Berlusconi a Milano e, a suo dire, il caposcorta le consegnò una busta con 15mila euro». E poi il «trambusto» di quella sera in Questura: così ne parlò sempre all’agente Cafaro il collega a cui aveva poi passato le consegne. «Mi disse che c’erano persone che si erano presentate in Questura, e poi di telefonate e pressioni in merito alla minore, la quale a differenza di quanto era stato detto dal magistrato minorile era stata affidata a un’altra persona», e cioè a Nicole Minetti. Il pm gli chiede allora se davvero quella sera il collega gli parlò «di pressioni» per via della telefonata da Palazzo Chigi, e l’agente Cafaro: «Il collega mi disse che gli avevo lasciato una gran rogna e che c’era stato un gran trambusto». Sì, di trambusto ce ne sarebbe stato parecchio anche dopo. di Andrea Scaglia