Monti tesse le lodi del Cav Sinistra su tutte le furie

Lucia Esposito

È un momento in cui bisogna pensare all’interesse generale». L’ecumenismo di Silvio Berlusconi sciocca anche i suoi dirigenti più fidati. Ma tant’è. Questa è la moda del momento, a Palazzo Grazioli. E il Cavaliere, attualmente, ci sta molto comodo nei panni del “padre della Patria”. D’altronde: se la politica delega ai tecnici gli affari di governo - realtà alla quale pure i falchi si sono rassegnati -, ai partiti rimane una sola missione, se ne sono capaci: «Fare le riforme, rendere più moderno lo Stato.  Alla fine i cittadini ci ringrazieranno». Oggi, invece, il corpo elettorale ha le idee poco chiare. Un italiano su due non trova più sul proprio radar elettorale il partito del cuore. La dialettica classica maggioranza-opposizione non ha più senso, se destra e sinistra sostengono insieme il governo. Allora basta vergognarsi di questa convivenza forzosa, cercando (inutilmente)  di nasconderla alla gente: «Mettiamola a frutto». Bene l’asse con il Pd, «ma senza fare la guerra a Lega e Udc», è la rotta, più cauta, che traccia Silvio.   Ieri Berlusconi ha ricevuto a colazione i vertici del Pdl. Il Cavaliere ha voluto un racconto dettagliato degli incontri, avvenuti nei giorni precedenti, con Pd, Lega e terzo polo. Il dialogo c’è, è avviato, pare che funzioni. Dopo la prima settimana di annusamenti, ora si rende necessario un vertice tra leader, un ABC (Alfano-Bersani-Casini) per le riforme. Silvio è d’accordo nel procedere prima con l’architettura istituzionale e, a seguire, con la legge elettorale.  Riforme costituzionali: il testo di base su cui ruota l’accordo Pd-Pdl prevede più poteri (ma non tantissimi) al premier. C’è anche la facoltà, attribuita al presidente del Consiglio, di scegliere e rimuovere i ministri. Potere che l’uomo di Arcore aveva desiderato fortemente quando era a Palazzo Chigi. Specie nei momenti di scontro più duro con Giulio Tremonti. Nell’accordo bipartisan ci sono anche il taglio dei deputati e la fine del bicameralismo perfetto. Silvio invita comunque alla cautela: «Andiamo avanti, ma stiamo attenti a intestarci la battaglia. Se il tentativo riformatore dovesse fallire, direbbero  che è stata colpa nostra...».  Sulla legge elettorale Berlusconi è stato altrettanto prudente. C’è una lieve preferenza per un sistema proporzionale (con l’attenuazione del premio di maggioranza), soprattutto se dovesse finire l’alleanza con la Lega. Finirà? Silvio con i suoi non è stato ottimista. Per il momento il Carroccio fa prevalere discorsi di politica nazionale a scapito delle alleanze locali già esistenti. Nel frattempo Berlusconi invita anche all’equilibrismo del piede in due staffe: non va abbandonata neanche la strada che porta all’alleanza con l’Udc, specie alle Amministrative del Sud. In molti casi si tratta solo di confermare un sodalizio già esistente.     Fortuna che c’è Monti a restituire il sorriso al Cavaliere. Il Professore, in America per incontrare Obama, ha di  nuovo parole di elogio per il suo predecessore. Qui siamo al confine con la sviolinata: il sostegno che Berlusconi dà al governo tecnico  contribuisce a «fargli guadagnare terreno nella sua credibilità, reputazione e autorevolezza come uomo di Stato a livello internazionale». Sono le parole che SuperMario affida  al Time. Concetti che piacciono molto a Sandro Bondi: con «estrema onestà intellettuale» Monti «riconosce il ruolo di statista» di Berlusconi. Il professore, così parlando, si attira le antipatie della sinistra, però. Rosy Bindi lo critica per un’altra parte dell’intervista al Time: quando Monti parla di «gruppi di interesse legati al potere politico» che «frenerebbero la crescita», «deve fare i nomi», si infervora la presidentessa del Pd. Ah, il premier si riferiva ai sindacati. Ovviamente. di Salvatore Dama