Mughini esalta Eastwood "Lui l'eroe che ci manca"
A tanti ha strappato le lacrime. Ad altri le polemiche più inviperite. Due minuti di cinema strepitoso, irrorati dalla voce e dal volto di un monumento alla conteporaneità, l’attore e regista cinematografico Clint Eastwood. Ossia i due minuti, seguitissimi e contestatissimi, di uno spot pubblicitario che la Chrysler s’è inventata a ficcarlo tra il primo e il secondo tempo dell’Evento Americano per eccellenza, quella finale del Superbowl che negli Usa stavano vedendo 110 milioni e passa di americani. Due minuti in cui la storia della Chrysler viene presa a paradigma di una storia che stiamo vivendo tutti nel mondo, la lotta per la vita e per la morte contro una crisi economica che serra alla gola l’Occidente intero. «It’s halftime”, siamo a metà della gara, mormora l’eroe americano per antonomasia con una voce che Dio ci s’è messo di persona a crearla. È a metà della gara il Superbowl, è a metà della gara la Chrysler, gli Usa, tutto il mondo occidentale, io che scrivo e voi che mi state leggendo. Stiamo tutti lottando per la vita e per la morte. La Chrysler era sulle soglie dell’abisso. Potentemente aiutata dal governo Usa, e contro il parere del Partito repubblicano che avrebbe voluto andasse in malora e pace all’anima sua, ce l’ha fatta. Lei e la Fiat che avevano fatto combutta. Ed ecco che negli Usa le polemiche partono furibonde. Il Partito Repubblicano accusa il «repubblicano» Eastwood di tradimento, di avere fatto in buona sostanza una formidabile promozione a favore di Obama e della sua rielezione, dunque del suo «secondo tempo» (Eastwood ha recisamente smentito di stare politicamente con Obama). Lo pensa fra gli altri Michael Moore, il noto regista cinematografico e collega di Eastwood. Detto papale papale, i repubblicani accusano la Chrysler (e dunque la Fiat) di avere ricambiato il favore a Obama. Lui aveva cacciato i soldi di che salvare l’azienda automobilistica, loro gli regalano lo spot più lungo e costoso del Superbowl. Sui blog è un impazzare di pareri. In moltissimi scrivono di essere stati commossi dallo spot, che nel vederlo non avevano pensato minimamente alle basse ragioni della politica e dello scontro tra i partiti. Non avevano minimamente avvertito che dietro quelle immagini della storia americana recente si celasse un astuto messaggio «subliminale» a vantaggio del candidato presidente Obama. Sarà perché fondamentalmente sono un sentimentale, ma anch’io la penso così. Di più ancora. Invidio gli Usa perché hanno da mettere in vetrina un «eroe» che parla al cuore di tutti, che è talmente autorevole e convincente, di cui lo senti a pelle che non sta dicendo cazzate a pagamento o per spirito di fazione. Quello stesso spot avessimo voluto e potuto farlo in Italia, uno spot che parlasse al cuore di tutti gli italiani e che raccontasse esemplarmente la lotta per la vita e per la morte di tutti gli italiani serrati alla gola dalla crisi economica, chi avrebbe potuto interpretarlo e ruscire pienamente convincente? Un Adriano Celentano, e sia detto con tutta la simpatia che ho per lui e per il suo talento di showman, che è giustissimo remunerare? Se è per questo, anche Eastwood ha destinato in beneficenza il suo compenso, e anche se non credo che questo aspetto della faccenda negli Usa sia oggetto di un commentario talmente estenuante com’è in Italia. In Usa guadagnare dei soldi con il proprio talento non è un peccato mortale. Il punto è quell’altro, di un Paese che ne ha di «eroi» riconosciuti come tali, perché testimoniano virtù e qualità condivise. Clint è un eroe americano non perché dopo ogni pasto proclama la necessità del coraggio o della Morale, come fanno tanti babbei italioti, ma perché incarna il coraggio anche quando respira. È il coraggio, e non è vero affatto che un Paese meno eroi ha e meglio è. Come nel memorabile protagonista del «Gran Torino», uno che aveva combattuto eroicamente in Corea ma che non ne parlava mai, uno che di suo era anche un tantino razzista, ma che poi si immedesima a tal punto nella condizione degli immigrati suoi vicini di casa da andare a morire disarmato a difesa della loro dignità. Una cosa molto diversa dalle vicende nostre, dove accade che uno sia stato partigiano (e ha fatto benissimo a esserlo) poco meno di settant’anni fa e che non la smetta più di ripetere ogni giorno e ogni ora quanto questo lo renda superiore ai suoi contemporanei e soprattutto ai suoi rivali. Ovvio che qualsiasi riferimento al maestro di giornalismo che è stato Giorgio Bocca, è puramente voluto. Lo ripeto. Valori condivisi da tutti e non appannaggio dell’una o dell’altra fazione, tipo «i fascisti» e gli «antifascisti», i «nordisti» e i «sudisti» o qualsiasi altra dicotomia vi sia cara. Facce cinematografiche che raccontano una storia comune e non la versione dei fatti dell’una o dell’altra fazione. Purtroppo noi italiani di facce così non ne abbiamo. Perché di valori condivisi non ne abbiamo.Purtroppo. di Giampiero Mughini