In Siria tira aria di Libia: richiamati gli ambasciatori

Giulio Bucchi

Gli orrori che il regime siriano consegna ad un mondo indifferente sono senza fine. Ieri, giornata in cui si sono registrati un centinaio di morti per le strade (siamo a quota 14.000 vittime secondo l’opposizione siriana), il portavoce dell’Unicef Marixie Mercado non solo ha dato conto di una cifra crescente di bambini e minori uccisi dagli scherani di Assad nelle strade siriane - non meno di 400 - ma ha anche denunciato il fatto che altrettanti sono tuttora in carcere, in condizioni disumane: «Abbiamo notizia di bambini arrestati arbitrariamente, torturati e abusati sessualmente durante la loro detenzione e  notizie credibili, che arrivano da media internazionali presenti a Homs, ci dicono che ci sono bambini in preda alle violenze». A fronte di questo quadro devastante, con l’Onu che «dà vita ad una farsa» (parola di Hillary Clinton) incapace com’è di porvi rimedio, a causa del veto di Russia e Cina ad una risoluzione minimamente incisiva, l’Europa non è neanche in grado di decidere  l’immediata chiusura delle relazioni diplomatiche con la Siria, limitandosi a un «richiamo in patria per consultazioni» degli ambasciatori a Damasco, come ha disposto il ministro degli esteri Giulio Terzi. I Paesi arabi del Consiglio del Golfo (Arabia Saudita ed emirati varii) hanno invece a deciso di espellere gli ambasciatori di Damasco nelle loro capitali e di ritirare le loro delegazioni dalla Siria: una lezione si stile alla ignava Europa che non sa dare un segnale forte di solidarietà alle forze di opposizione e di ammonimento, non tanto al regime, quanto a quel consistente blocco sociale (alauiti, cristiani e anche sunniti agiati), che ancora sostengono il regime baathista di Assad. L’incapacità della comunità internazionale, in primis dell’Onu, di operare un intervento efficace per fermare il massacro, avrà quindi come conseguenza di lasciare ancora per un lungo periodo la parola alle armi, cronicizzando sia la protesta che la repressione, col risultato che il bagno di sangue, con ogni probabilità, non avrà fine molto presto. A meno che - l’ipotesi è sempre più probabile - alcuni Paesi non decidano di accentuare l’intervento militare unilaterale a fianco della Syrian Free Army dei disertori (come, sul fonte opposto, l’Iran ha inviato centinaia di pasdaran a combattere per Assad). Intervento militare che è già in atto da due mesi, sia pure in forma “coperta”. Ne è prova la trattativa iniziata ieri tra il governo di Damasco e quello di Ankara per il rilascio di ben 49 “agenti dei servizi segreti turchi” arrestati nelle ultime settimane sul territorio siriano. Una cifra impressionante, che indica come siano almeno centinaia, se non di più, i militari turchi già impegnati nei combattimenti in Siria (e probabilmente anche a Homs: questo è il segreto della sua incredibile resistenza alla repressione degli scherani di Assad). Sicuramente la loro attività militare si svolge sul terreno delle comunicazioni e della logistica (non si comprende altrimenti come i disertori siano riusciti ad attaccare un mese fa addirittura due sedi dei Servizi di Assad a Damasco con razzi Rpg e con mortai), ma probabilmente anche in azioni armate dirette. Anche l’emiro del Qatar Hamed ben Khalifa al Thani (padrone anche di al Jazeera) ha sicuramente già inviato suoi commandos a combattere a fianco dei disertori in Siria e oggi dà chiari segni di intendere rafforzare questo impegno. Insomma, un replay di quanto Qatar, Francia e Inghilterra hanno già fatto in Libia, di nascosto, sin dai primi giorni della rivolta (e anche prima). Solo che in Siria l’Onu latita. di Carlo Panella