Ecco il patto del Cavaliere con la sinistra e Monti
Silvio Berlusconi sfoglia un album fotografico con la copertina cartonata, in blu. Arriva all’istantanea che gli piace di più: lo ritrae, pattini e divisa da giocatore di hockey, mentre si lancia in una mischia tra un avversario e la parete del perimetro di ghiaccio. «Ci siamo sfidati con Putin e ho vinto io. Quale settantacinquenne si avventerebbe con tale agonismo?». Anche chi dice peste e corna di lui, gliene dà atto: l’uomo, di indole, è un combattente. Da ragazzo è pure salito sul ring («Campionato lombardo dei pesi medi, finché non tornai a casa con il naso gonfio e mia madre protestò: “io ti ho fatto bello e tu ti conci così!”»). Basta guantoni. Li ha rimessi su (metaforicamente) per fare politica. Ma anche quella stagione è finita. Finita? Berlusconi siede alla scrivania. Ha un piano. Il Cavaliere ritorna in campo Il commento di Pietro Senaldi su LiberoTv Gli ultimi mesi di esperienza al governo sono stati traumatici. Troppo tempo speso a difendersi dagli attacchi che arrivavano, quotidianamente, da più parti, pochissimo spazio per pensare. Tanta trincea, zero elaborazione politica. Poi il trauma delle dimissioni, il passaggio di consegne a Monti, il disagio di condividere la coalizione con i nemici del giorno prima. Quindi i primi provvedimenti del governo, la manovra “tutta tasse” di dicembre e un Berlusconi che ancora non prende partito: dà i voti ai professori, ma li tiene sulla corda. Lotta e governo. Un occhio strizzato all’Udc e una mano tesa alla Lega. Poi? Poi le ferie natalizie devono aver fatto molto bene al Cavaliere. Gli hanno restituito la lucidità che s’era giocata col (troppo) rapido precipitare degli eventi. L’ex premier ha una strategia. La rivelazione consegnata ieri l’altro al Financial Times è l’epifenomeno. Manca un pezzo. Questo: «Perché ho detto che sono pronto a un passo indietro e ad abbandonare la politica in prima linea. Perché, semplicemente, è quello che penso: voglio dare spazio ad Angelino Alfano, che è un giovane bravissimo. Poi ritengo che tornare un’altra volta a Palazzo Chigi, con l’attuale architettura istituzionale, sarebbe inutile». Il compito di riformarla tocca ai due principali partiti, Popolo della Libertà e Partito democratico. Ecco la strategia berlusconiana, la quinta sinfonia per i consiglieri “pacifisti” del capo. Una medicina amara per quegli azzurri più bellicosi che chiedono il voto. Qui e subito. Detta volgare, la strategia dell’inciucio 2.0, suona più facile e diretta: se uno deve stare nello stesso letto con il nemico, tanto vale consumare il rapporto, no? Ma il discorso di Berlusconi è ben più articolato. Parte dalla «politica» che deve ritrovare centralità perché «in questo momento non c’è», è evanescente, «il 46 per cento degli italiani non sa chi votare e se andare a votare». Colpa anche del sistema di voto che alimenta la frammentazione: «Il voto degli italiani si disperde in una miriade di partiti e partitini: la sinistra radicale di Vendola, i Grillini, Di Pietro, i radicali, Fini, l’Udc di Casini, la Lega... Sarebbe invece opportuno alzare la soglia di sbarramento». E chi avrebbe lo stesso interesse a dare una sterzata al sistema verso il bipolarismo spinto (o bipartitismo)? Esatto. «Dobbiamo dialogare con il Partito democratico. E non solo sulla legge elettorale. Bisogna lavorare con loro anche alle altre riforme istituzionali». Pure la giustizia? «Perché no, alla fine quaranta loro deputati hanno votato per la responsabilità civile dei magistrati...». Come a dire: forme primoriali di garantismo anche a sinistra. Perlomeno quando c’è il velo del voto segreto, come l’altro giorno alla Camera. Alt, ferma. Momento di riflessione: il Cavaliere auspica un’asse Pdl-Pd per una nuova legge elettorale che tagli terzi poli e le ali estreme, tra queste ficca en passant pure la Lega. Silvio non ufficializza la morte dell’alleanza (ci pensano i leghisti a ricordarlo tutti i giorni), ma inizia a elaborare il lutto. Bossi è Bossi, un amico, un fratello. Ma Umberto non è più il leader del Carroccio. Esteticamente forse ancora, ma di fatto non lo è più. Perciò - anche se la porta per il figliuol prodigo è sempre aperta - meglio attrezzarsi alla nuova situazione. E sia: perché i partiti maggiori abbiano tempo per fare le riforme (o perlomeno la legge elettorale), è necessario che Monti duri per tutto il suo mandato. Ciò spiega com’è che, dopo il tentennamento iniziale, Berlusconi sia diventato un montiano di ferro: «È molto bravo e non sto scoprendo adesso le sue qualità: è stato il sottoscritto a indicare Monti come Commissario europeo nel ’94». Il Cavaliere si fregia di essere stato il talent scout. «Il governo deve continuare a operare». In settimana l’ex premier è stato ospite, con Gianni Letta, al Quirinale per un pranzo riservato col Capo dello Stato. Nelle settimane successive al suo passo indietro Berlusconi aveva sottolineato lo stato di democrazia sospesa, determinato dall’insediarsi di un esecutivo non indicato dagli elettori. Una dialettica antiquirinalizia che Silvio ha via via abbandonato. Adesso analizza freddamente: «Di fatto siamo in una Repubblica presidenziale. Il che va anche bene perché, con i decreti del Presidente, almeno si fanno le riforme che servono al Paese». Evviva la Costituzione materiale, se quella cartacea è l’antitesi del decisionismo: «Le nostre leggi entravano in Parlamento in un modo e ne uscivano modificate. Poi passavano al vaglio di Magistratura democratica che decideva se impugnarle. Infine subivano il giudizio della Corte costituzionale, dove si sa quale siano i rapporti di forza politici...». Adesso le leggi hanno il sigillo di Giorgio Napolitano. E chi le tocca? Sorride: «Certo che, senza Berlusconi al potere, i giornali non sanno più chi attaccare, sono in crisi...». Adesso dilaga la polemica contro la casta e a Silvio non piace: «La stampa non aiuta la politica a recuperare credibilità. Alla fine un deputato ha spese politiche e di rappresentanza, non si arricchisce con l’indennità parlamentare». La seconda vita di Berlusconi in politica - non più frontman, ma stratega e padre nobile - sembra anche caratterizzata da un diverso approccio ai problemi. Meno ottimismo, più realismo: «Sono profondamente preoccupato per l’economia italiana ed europea». Si mischiano interessi generali - per il Paese che dice di amare - e interessi vivi: le sue aziende, gravate dal calo della raccolta pubblicitaria. Ma è tutto il Sistema Italia che, chissà se regge: «La Cina e le altre economie emergenti aggrediscono le nostre aziende producendo a costi bassissimi. Non so come andrà a finire...». Ha un esempio che lo riguarda: «Ho costruito varie strutture in Thailandia con don Pierino Gelmini e adesso, in collaborazione con Guido Bertolaso, abbiamo un progetto di ospedali prefabbricati da installare direttamente in Paesi che ne hanno necessità». Un’iniziativa umanitaria. «Ebbene, produrne uno in Italia costa 4,2 milioni di euro, in Cina 1,2 milioni!». Al crepuscolo del Vecchio continente sta dando una bella mano la Germania: «Non si rendono conto di quanto sia importante per l’euro avere una Bce che funzioni come una vera banca centrale». Il Cavaliere guarda il tavolino dove gli vengono sistemati i quotidiani. È vuoto. Ritardo nella consegna della mazzetta, colpa della nevicata che ha mandato in tilt Roma. D’altronde anche Silvio doveva partire per Milano e, causa meteo avverso, non è riuscito: «Non ho ancora visto il Financial Times, volevo leggerlo. In realtà ho in programma un serie di interviste con i giornali stranieri. Un po’ di tempo fa ne ho fatta una con Paris Match, proseguirò con cadenza settimanale. Mi concentro di più sulla stampa internazionale perché c’è stato un tentativo di screditare la mia immagine all’estero con la storia del bunga bunga». di Salvatore Dama