La battuta fuori posto di Mario Ironia del re del posto fisso
In Italia ci sono solo sei veri posti fissi di lavoro. Sono quelli dei senatori a vita, che avranno stipendio, ufficio e poltrona fino all’ultimo dei loro giorni. Uno di quei sei superfortunati si chiama Mario Monti e temporaneamente è anche presidente del Consiglio. Per questo ha fatto un certo effetto sentire dire proprio da lui mercoledì sera a Matrix: «I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi diciamolo, che monotonia. È bello cambiare e accettare delle sfide». Forse Monti era troppo impegnato in conferenze alla Trilateral in questi anni per accorgersi che i giovani non hanno bisogno di abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso: non ce l’hanno da anni. Monti più che annunciare dalla cattedra più impropria che ci sia una rivoluzione culturale, ha scattato una banale fotografia della realtà. Il posto fisso non c’è più in Italia da anni. Per centinaia di migliaia di giovani non c’è proprio un posto. Chi è stato più fortunato ha iniziato a ballare da un lavoretto all’altro. L’unica zona franca in Italia è rimasta «casa Monti». Sì, perché il posto fisso è possibile solo come dipendente pubblico. Una volta che entri- spesso per amicizia, lottizzazione e raccomandazione- alle dipendenze dello Stato, nessuno ti muove più da dove sei. Questo sì è uno dei problemi principali – ed irrisolti- d’Italia. Monti per primo però non si è nemmeno sognato di mettervi meno, né nel decreto salva-Italia, né in quello sulle liberalizzazioni che secondo lui doveva mettere a posto tutto il resto o quasi. Ecco, forse da un premier così qualche segnale avremmo atteso per indicare ai giovani che lì davvero un posto non si troverà più, perché lo Stato smetterà di assumere per decenni, iniziando magari a spostare migliaia di dipendenti pubblici da un posto inutile a uno magari più utile al buon funzionamento della pubblica amministrazione. Siamo i primi- dalle colonne di Libero- a sostenere la necessità di riformare il mercato del lavoro, che dovrà essere flessibile e adatto a una società dinamica e in crescita. Con gli slogan però si riforma assai poco, e l’abbiamo visto in questi anni. La legge Biagi ad esempio era ottima e moderna. Aveva però bisogno di uno Stato che corrispondesse a quei criteri. Usandola come bandiera ideologica e strumentalizzandola come è avvenuto da parte delle grandi aziende, alla fine si è trasformata nel suo contrario. Le grandi imprese manifatturiere hanno assunto solo lavoratori a termine, perché era più comodo. Lo Stato non ha costruito un sistema di welfare in grado di seguire la flessibilità del mercato del lavoro, e ai primi vagiti della crisi sono stati buttati tutti a mare i lavoratori meno protetti. Il posto fisso non avrà più attrattiva alcuna quando il sistema di protezione sociale sarà in grado di garantire una vita dignitosa a chi perdendo un lavoro dovrà mettersi alla ricerca di un altro. Quel sistema di protezione sociale deve essere costruito dal governo di un paese (quindi da Monti) e anche dalle imprese, perché il welfare in tutto il mondo è costruito come una assicurazione privata o al massimo pubblico-privata. Come per la cassa integrazione, le imprese dovrebbero versare una quota di contributo per pagare la disoccupazione dei loro dipendenti causata dai contratti che vengono interrotti grazie a norme più flessibili. Lo Stato deve fare il suo dovere e imporlo anche a quei poteri forti (come le grandi imprese) che vogliono solo godere dei benefici, senza partecipare agli oneri. Stesso modello di protezione assicurativa condivisa anche per tutto ciò che viene meno senza posto fisso: mutuo bancario a giovani famiglie, prestiti al consumo, etc… Lavorare per alcuni può essere divertimento, per la maggiore parte è soprattutto una necessità. Non c’è noia, né divertimento possibile nella necessità, e la battuta di Monti è davvero fuori luogo. Tutti vogliamo un paese moderno e dinamico che sia in grado di crescere. Ma per costruirlo bisogna investire, e il dovere principale di un governo è quello, non sfottere chi si trova in stato di necessità. A Monti si perdona molto per definizione. A lui sarebbe concesso senza battere ciglio di dire come fece Silvio Berlusconi in mezzo ai fischi che la crisi è solo apparente perché i ristoranti sono pieni. La battuta sul posto fisso noioso vale quella che fece indignare in Italia e all’estero quasi tutti. di Franco Bechis