Per i 13 milioni spariti Lusi accusa Cicciobello Rutelli
La Procura romana ha ascoltato l'ex deputato della Margherita, Arturo Parisi, oggi nel Partito democratico. E' l'ultimo sviluppo a Palazzo di Giustizia dell'inchiesta su Luigi Lusi, l'ex tesoriere della Margherita ora senatore Pd che ha confessato di aver sottratto 13 milioni di euro del partito che fu diretto da Francesco Rutelli. Ad ascoltare Parisi sono il procuratore aggiunto Alberto Caperna e il pubblico ministero Stefano Pesci. Al centro dell'interrogatorio di Parisi le dichiarazioni fatte tempo fa quando disse d'aver espresso nel 2011 perplessità sui bilanci quando si riunì l'assemblea della Margherita. Una dichiarazione che avvalora le tesi di molti nel partito, secondo cui gli alti dirigenti conoscenvano le "abitudini" di Lusi. E lo stesso ex tesoriere ha ribadito il concetto, mettendo all'angolo proprio Cicciobello Rutelli. Di seguito l'articolo di Elisa Calessi È arrabbiato, amareggiato. Ma sereno. E, come sempre, combattivo. Ai pochi, pochissimi con cui ha parlato, Luigi Lusi ha fatto capire di non essere affatto rassegnato. E di non aver alcuna intenzione di venir crocifisso anzitempo. Perché questa vicenda, pare di capire, è solo all’inizio. Non risponde al telefono, alle mail. L’ex tesoriere della Margherita indagato dalla procura di Roma per i 13 milioni di euro che avrebbe sottratto alle casse del partito, si è chiuso in un silenzio di ferro. Si nega ai compagni di partito, agli amici. Persino ai parenti. Il suo contatto con il mondo esterno, in questo momento, è solo Luca Petrucci, il suo avvocato. E qualche amico fidatissimo. Ed è a questa cerchia ristretta che ha confidato quello che, per ora, non vuole rendere pubblico in modo diretto. Lusi è convinto di poter chiarire se non tutto, quanto basta per alleggerire molte delle colpe che ora gli vengono attribuite. Intanto, precisa con chi gli ha parlato, è indagato, ma non imputato. Come a dire che le accuse che gli vengono mosse non avrebbero prove così solide come sembra. E Lusi, non si dimentichi, è un avvocato penalista. L’altro argomento che usa a sua difesa è la gestione sana della Margherita: in dieci anni ha sempre assicurato bilanci in attivo, mai debiti, cosa rarissima nel panorama dei partiti italiani. Ha lasciato qualcosa come venti milioni o perfino di più. Ricorda, poi, che tante volte, di fronte agli innumerevoli problemi che si sono posti nel corso di questi lunghi anni, ha rimesso a disposizione il suo mandato. E ogni volta sono stati loro (i dirigenti della Margherita) a chiedergli di restare. «Mi hanno chiesto loro di gestire tutti quei soldi, ribadendomi sempre la loro totale fiducia». A farlo infuriare è stato poi quello che considera uno scaricabarile rispetto agli ultimi bilanci approvati. Non è vero, ha detto a chi gli ha parlato, che non esistevano controlli. C’erano. Erano previsti dallo Statuto e dalla legge sotto forma di almeno tre organismi. C’erano il comitato di tesoreria, il collegio dei revisori dei conti della Margherita. E infine i revisori dei conti del Parlamento. Per il resto si è detto convinto di poter spiegare e provare la correttezza e legittimità di ogni operazione fatta. Intanto nel partito di cui Lusi gestiva la cassa comincia a serpeggiare la paura. Sì perché ormai si è capito che l’inchiesta sui 13 milioni di euro dirottati dalle casse della Margherita, si allargherà. E, probabilmente, coinvolgerà altri. I magistrati, seguendo il principio che è strano appropriarsi di una somma così consistente a disposizione di un partito senza che nessun organismo, nessun dirigente, ne sappia nulla, stanno facendo approfondimenti. Fin dove e per arrivare a cosa e chi, nessuno lo sa. Quello che pare ormai acclarato, da ammissioni ufficiali o mezze parole, è che il tesoriere finanziava iniziative politiche di dirigenti usciti dalla Margherita. Nulla di illecito, come ha precisato Beppe Fioroni a Repubblica: «Il finanziamento di iniziative di ex dirigenti della Margherita confluiti nel Pd o comunque rimasti nel perimetro del centrosinistra è previsto dallo statuto di Dl, anche dopo la sua scomparsa. Diverso è se Lusi ha dato soldi a dirigenti usciti dal centrosinistra pur rimanendo all’opposizione di Berlusconi o addirittura a persone confluite nel centrodestra». Pierluigi Castagnetti, rappresentante legale dei Popolari, un po’ conferma, un po’ mette le mani avanti: «Per i Popolari posso escluderlo. Ma se anche scoprissimo che ha pagato la tipografia o l’affitto di una sala non sarebbe un reato. Sarebbe, piuttosto, una di lealtà di fronte agli altri». Gli altri fondatori della Margherita che, magari, non hanno ricevuto finanziamenti o li hanno ricevuti, ma non sapendo quanto veniva dato agli altri. Forse il segreto del “potere” di Lusi e la ragione di tanti silenzi, insinua Enzo Carra, ruotava attorno a questo sistema. Dice a Libero l’ex deputato della Margherita ora nell’Udc: «Quando c’era la Margherita le risorse venivano distribuite alle correnti secondo criteri precisi. Dopo, quando si è sciolta, probabilmente il sistema era più discrezionale. Probabile che Lusi abbia finanziato l’iniziativa di questo o di quell’altro. Ma contando sul fatto che Tizio non sapeva quanto dava a Caio e viceversa. Finché qualcuno ha sospettato e si è arrabbiato...». Ma, se anche fosse, non sarebbe un reato. La domanda più spinosa, semmai, è un’altra: qualcuno sapeva dei conti all’estero o dell’acquisto dell’appartamento in via Monserrato? Possibile che nessuno fosse al corrente delle operazioni di Lusi? Renzo Lusetti, che insieme a Enzo Carra, Battista Bonfanti e Rino Piscitello hanno presentato un esposto al Tribunale di Roma, in quanto non erano stati convocati alle ultime due assemblee della Margherita durante le quali erano stati approvati i bilanci 2009 e 2010, avanza alcuni dubbi: «Mi pare impossibile che nessuno sapesse niente. Tu dirotti 13 milioni, dico 13, non alcune fatture, e nessuno si accorge di niente? E poi ha pure usufruito dello scudo fiscale... Neanche un amministratore delegato è in grado di fare movimenti così complessi tutto da solo». Per quanto, come dice Cirino Pomicino alla buvette di Montecitorio, nei partiti moderni è possibile anche questo. «Nella Dc il tesoriere era al vertice di una struttura organizzativa. Non era possibile che movimentasse soldi tenendo all’oscuro tutti. Ma ora, con i partiti personali, non è escluso che una persona, nel giro di una notte, faccia operazioni tenendo tutti all’oscuro». Vero o no, la paura è che Lusi non sarà “il compagno L”, come è già stato ribattezzato, facendo riferimento a Primo Greganti, il dirigente del Pds che, accusato di aver intascato una tangente, si assunse ogni responsabilità, coprendo il partito. Non si sa quanto e cosa. Ma la paura è che Lusi qualcosa dirà.