Flavio Tosi sfida Bossi e Lega: il rottamatore vuol far da solo
Proprio non ce lo vediamo tornarsene a fare il programmatore elettronico il Flavio Tosi, l’uomo del 61% dei suffragi, il pioniere dei maroniani, il sindaco veronese che intercetta in tutt’Italia più consensi trasversali della (con tutto il rispetto) vecchia Dc di Rumor. A poche ore dalla circolare federale che vieta a tutti candidati leghisti di presentare liste personali, il primo cittadino scaligero dichiara che se non gli sarà permesso di sventolare alle prossime amministrative la “Lista Tosi” - un patrimonio di voti che potenzialmente, da sola, arriva oggi al 40% dei consensi- «piuttosto torno a fare il programmatore, perchè governare la città vuol dire presentarsi con la Lega Nord e la lista Tosi...». La stessa scena si propose quattro anni fa quando la Lista Tosi ottenne il 15% e la Lega il 12%. E quando un Berlusconi milanese benvestito stava imponendo alla coalizione Alfredo Meocci; lì si ritrovò col Tosi scravattato dalla zolla che si sarebbe presentato da solo. E convincendosi, Silvio, che l’impuntatura non sarebbe stata cosa igienica per la coalizione, finì col benedire quella lista omonima che sapeva di folle plaudenti e orgoglio veneto e un po’ narcisista. Il fatto è che Bossi, tanto per cambiare, ora ha un problema. Inutile girarci attorno: Tosi, Lega o non Lega, forte del suo consenso bulgaro, a Verona si presenterebbe lo stesso. E ciò, con Maroni quasi costretto a sostenerlo, provocherebbe un terremoto in casa Lega. E il laboratorio Verona potrebbe ancora una volta cambiare gli assetti del centrodestra. La miccia che accenderebbe la rivoluzione nazionale del Carroccio. In politica vince il consenso. E Tosi, in questo momento ha dalla sua il Pdl provinciale (dice il vice coordinatore provinciale Bertacco: «Vogliamo stare col sindaco. Sciogliere l’alleanza per noi è impensabile»), parte della stessa Lega e, all’occorrenza perfino il Terzo Polo. E al di fuori delle mura di Verona -dove Shakespeare scriveva che non esiste mondo- il sindaco viene sostenuto direttamente dalla presidente della Provincia di Venezia, Francesca Zaccariotto e, svogliatamente, da Luca Zaia. Il quale, per inciso, se ne sta in attesa degli eventi; ma essendo stato egli stesso propugnatore di una Lista Zaia, tenderebbe a non appoggiare le bizzarre disposizioni federali in materia. Per non dire del vecchio leone Giancarlo Gentilini, 84 anni, da Treviso che, presentando egli stesso una “lista Gentilini”, inneggia a Tosi: «Se uno ha lavorato bene raccoglie consensi che non andrebbero a una lista politica...». E molti fanno notare che Tosi ha lavorato molto bene. E ha intessuto una tale rete di rapporti che pare sia bastata una sua telefonata al ministro Passera per sbloccare i finanziamenti della filovia, rimasti al Cipe quando -guarda caso- era sottosegretario all’Economia il segretario veneto, veronese, del Pdl Alberto Giorgetti. Secondo molti il “caso Tosi” potrebbe provocare un poco salutare “effetto domino” nel Veneto leghista che ora è in ansiosa attesa dei congressi provinciali (sulla carta quasi tutti d’osservanza tosiana, eccetto Treviso) che si celebreranno, democraticamente e finalmente, in Veneto, Piemonte e Lombardia da qua a giugno. Molti dicono che vincendo i congressi i maroniani - i “barbari sognanti”- , il cerchio magico diventerà il cappio dell’opposizione interna. La domanda per i non addetti di cose venete è: perchè Tosi s’impunta così? In realtà, sulla carta, il sindaco è già “il delfino del delfino”, pronto al salto nella politica nazionale. Non è un mistero che Maroni non voglia minimamente uccidere il padre. Ma se il padre si suicidasse schiantandosi contro un muro veneto, bè, sarebbe un altro paio di maniche... di Francesco Specchia