"Fini, rinuncia ai tuoi privilegi"
Perfino il Partito democratico, che pure con Gianfranco Fini flirta dall’inizio della legislatura, stavolta sente puzza di bruciato. «È estremamente positiva e incoraggiante la decisione assunta dall’ufficio di presidenza della Camera in merito alla riduzione dei costi della politica nel capitolo riguardante i rimborsi per le spese dei deputati», concedono i deputati Giorgio Merlo e Mario Pepe. Ma che fine ha fatto, aggiungono i due, «il tema degli enormi privilegi che sono appannaggio della presidenza della Camera e dei questori? Sarà una dimenticanza?». E dire che Montecitorio sperava di aver fatto il passo giusto. Come? Decidendo di intervenire sui 3.690 euro che spettano, a titolo di indennizzo per le spese sostenute per i loro collaboratori, ai deputati. Il rimborso, d’ora in avanti, non avverrà più in automatico, ma solo dopo la presentazione delle relative ricevute. Una beffa, per l’Italia dei valori. Perché, come spiega il vicecapogruppo dipietrista Antonio Borghesi, «più che davanti a una stretta sulle indennità siamo, ancora una volta, in presenza di una strettina che non riduce di un solo centesimo il complesso di quanto percepiscono oggi i parlamentari». Quanto emerso dall’ufficio di presidenza della Camera, infatti, «si limita a pretendere, ma solo parzialmente, la documentazione per quanto attiene gli assistenti parlamentari». Furibonda la reazione di Antonio Mazzocchi, questore in quota Pdl. I democratici Pepe e Merlo, ribatte, sono «due polli in un pollaio che fanno solo chiasso». Lui e gli altri questori, si difende, non solo hanno «mansioni diverse dai deputati», ma sono gravati anche da «un carico di lavoro maggiore, perchè siamo come amministratori delegati della Camera. È come se un funzionario dicesse a un amministratore delegato: perché guadagni più di me?». Ciò non toglie, annuncia Mazzocchi, che «probabilmente a gennaio taglieremo ulteriormente l’indennità spettante ai questori e forse anche quella degli appartenenti all’ufficio di presidenza. C’è un atto uno studio in questo senso». Parole che non contribuiscono a rasserenare il clima sui costi della politica. A renderlo incandescente è la scelta di una ventina di deputati - ma il numero è destinato a crescere - di presentare ricorso al consiglio di giurisdizione di Montecitorio, l’organismo chiamato a dirimere le controversie interne, contro l’intervento sui vitalizi stabilito a dicembre dall’ufficio di presidenza di Montecitorio. Una mossa che ha scatenato, anche in questo caso, la reazione dell’Idv. «Qualcuno non ha più il polso di quanto sta accadendo in Italia», attacca Felice Belisario, capogruppo al Senato, che chiede a Giuseppe Consolo, il presidente del consiglio di giurisdizione, di rendere pubblica la lista dei ribelli: «Chi ha fatto ricorso lo dichiari pubblicamente e si assuma le proprie responsabilità. È proprio per episodi come questi che la classe politica è additata come casta». Dipendesse da Consolo, l’elenco dei ricorrenti resterebbe segreto. «Il 1° febbraio il consiglio dovrà riunirsi per affrontare altre questioni, ma ci occuperemo anche questi ricorsi e decideremo il da farsi», spiega il deputato di Futuro e Libertà. Lui, in ogni caso, non devierà di un millimetro dalla linea del riserbo: «Ognuno deve regolarsi come crede. Di sicuro, nessun nome uscirà dal consiglio che presiedo». In tutto sono sessantasei i deputati che a Montecitorio sono interessati dalle nuove regole previdenziali: 11 del Pd, 30 del Pdl, 8 del Terzo Polo, 9 della Lega, 7 del Misto, 1 dell’Idv. Ed è tra di loro che si nascondono i sostenitori dello status quo. La soluzione del caso, però, non sarà breve: Consolo dovrà prima nominare i relatori, poi sentire le parti e gli avvocati. di T.M.