Tutti gli errori di Mario sulle liberalizzazioni
Liberalizzazione non sempre fa rima con diminuzione. Basti pensare che per far scendere i costi di alcuni servizi bancari (come conti correnti e bancomat), settore aperto e libero in cui moltissimi soggetti si contendono il mercato, piuttosto che liberalizzare il governo ha deciso di intervenire con un atto dirigistico che prevede per legge il taglio delle commissioni sulle carte di debito e l’introduzione di un conto bancario di base low cost. Anche nel settore dei rifiuti il paradosso rispunta fuori: alcune norme che dovrebbero aprire al mercato le attività di raccolta, vendita, trasporto e stoccaggio di imballaggi usati (bottiglie, lattine) prevedono per i produttori un balzello di 0,20 euro a pezzo. Ebbene la norma stabilisce che sia «obbligo dei venditori al dettaglio ritirare dai consumatori finali» la somma. Insomma, paghiamo noi. La materia è complicata. E la sensazione è che il governo abbia scelto di puntare di più su alcuni settori simbolici, la cui liberalizzazione non avrà però grande impatto sui consumatori, che su quelli realmente da ridisegnare. La separazione del Bancoposta, che offre prodotti e servizi finanziari, dalle Poste, che si occupano di spedizioni, era comparsa nelle prime bozze e poi sparita. Quella della rete ferroviaria (Rfi) dalle Fs, che in un primo momento si pensava fosse immediata con il passaggio delle azioni al Tesoro, è stata affidata ad una successiva valutazione della nuova authority per i trasporti. In altre parole, non si farà. Quanto alla rete del gas, il provvedimento la prevede, ma fra due anni e mezzo, e senza chiarire quale sarà il nuovo assetto societario di Snam. Per il resto, tra le misure che dovrebbero finire oggi sul tavolo del Consiglio dei ministri ci sono molti interventi dagli effetti benefici tutt’altro che certi. Ecco i principali. Taxi. Gli interventi del governo sono ancora oggetto di trattative con la categoria, ma in sostanza l’idea è quella di affidare alla nuova autorità dei trasporti il compito di adeguare i livelli di offerta del servizio taxi, delle tariffe, della qualità delle prestazioni ai diversi contesti urbani per garantire il diritto alla mobilità degli utenti. Si tratta, in sostanza di incrementare il numero delle licenze e di concedere ai tassisti maggiore libertà tariffaria per far scendere i costi per i consumatori. Il problema è che sia il numero delle licenze sia le tariffe già sono sostanzialmente in linea con quelle europee. Un intervento più efficace sarebbe stato forse quello per abbattere il costo del gasolio (16% in più della media Ue), il peso delle tasse (3% in più), il prezzo dell’assicurazione (58% in più). Benzina. Il decreto prevede la possibilità per i gestori degli impianti di distribuzione di rifornirsi liberamente da qualsiasi produttore o rivenditore (a prescindere dal marchio dell’impianto). I titolari degli impianti e i gestori degli stessi, da soli o in società o cooperative, possono anche accordarsi per l’effettuazione del riscatto degli impianti da parte del gestore stesso. L’obiettivo della norma è accrescere la concorrenza e ridurre i prezzi al consumo. Non sarà così. La filiera distributiva incide infatti solo per l’8% sul prezzo finale del carburante. Il 60% arriva da accise e imposte e il resto dalla materia prima. Semmai si doveva intervenire sulle norme regionali, che impongono ai nuovi distributori obblighi onerosi che bloccano l’avvio delle attività per pompe senza marchio e grande distribuzione. Tariffe. La norma è chiara e semplice: sono abrogate tutte le tariffe professionali, sia minime sia massime. In più i professionisti saranno obbligati a fornire un preventivo. Avvocati e notai low cost per tutti? Non proprio. L’effetto sarà quello di affidare ai giudici la decisione sulle parcelle da riconoscere al professionista quando non c’è accordo tra le parti o in cui si tratti di incarichi fissati dalla Pa, ovvero gli unici casi in cui oggi si utilizzano le tariffe professionali. Quanto al preventivo, la norma provocherà o l’innalzamento delle spese complessive o l’inserimento da parte dei professionisti di clausole che permettano di alzare a volontà le cifre pattuite, soprattutto in settori dove il numero e il tipo di interventi sono difficilmente prevedibili. Farmaci. Il pacchetto del governo prevede liberalizzazioni degli orari, aumento delle farmacie, libertà di sconti, possibilità di vendita dei farmaci di fascia c negli esercizi commerciali e indicazione del generico nella ricetta del medico. L’obiettivo è quello di far risparmiare i consumatori (anche perché il servizio sanitario già rimborsa solo il prezzo più basso a cui è venduto un farmaco). L’effetto sarà, forse, di lasciare tutto com’è, visto che la legge già prevede che il farmacista sia obbligato a segnalare il generico, che l’Italia è uno dei Paesi europei con più farmacie per abitante e che le farmacie spesso si accordano su determinati prezzi per evitarne eccessive oscillazioni. A farne le spese saranno piuttosto le parafarmacie, da cui tra l’altro è arrivato nel 2010 il volume maggiore di sconti sui prodotti. Energia. Per quanto l’operazione sarà molto dilazionata nel tempo (circa 2 anni e mezzo), il governo è intenzionato a prevedere la separazione proprietaria della rete del gas (Snam rete gas) dalla società di produzione (Eni). L’obiettivo è quello di sviluppare una maggiore concorrenza e uno sviluppo infrastrutturale in modo che i clienti finali possano avere contratti a prezzi più vantaggiosi. È difficile sostenere che togliere la rete del gas dal controllo del monopolista possa produrre effetti dannosi sul mercato. Bisogna, però, considerare che Eni ha già messo in atto una separazione funzionale e che è relativamente semplice garantire, attraverso il controllo del regolatore, la libertà d’accesso alla rete. La questione è, dunque, quella di essere certi che anche la politica di investimenti abbia un’impostazione pro-concorrenziale e non ceda alla tentazione di rinunciare a investimenti teoricamente remunerativi, ma tali da pregiudicare rendite di monopolio. Se questo è il problema l’ipotesi, molto probabile, di mettere tutto in pancia alla Cdp (che controlla l’Eni) potrebbe non essere risolutiva. di Sandro Iacometti