Il governo dei sobri tecnici nasconde i suoi patrimoni
Non è per rovinare l’allegra atmosfera natalizia che si respira in questi giorni felici nelle mense Caritas, nuovi luoghi di socializzazione dove l’italiano medio brinda grato al governo Monti che ci ha salvato dalla povertà. Ma ci sarebbe sempre da onorare quella promessa che il premier fece in pubblico il 4 dicembre, allorché annunciò la sua manovra fatta di provvedimenti innovativi come il ritorno dell’Ici sulla prima casa e l’aumento dell’Iva. La promessa era questa: «Per i membri del governo ci sarà un criterio di trasparenza a livello delle migliori pratiche internazionali. Abbiamo deciso di ispirare le nostre dichiarazioni patrimoniali al principio di non dichiarare solo quello che prevede la modulistica attuale, ma di dichiarare per intero i patrimoni». Bravo, così si fa. Mica come quelli che c’erano prima. Solo che da allora sono trascorsi venti giorni, durante i quali, più che il governo, a lavorare è stato il Parlamento, alle prese con la manovra. In questo periodo i ministri hanno trovato il tempo di andare alla inaugurazione della nuova stagione della Scala per dire che «la sobrietà è un elemento importante in tante cose» (Anna Maria Cancellieri); di ricevere l’ambasciatore della molto democratica Cuba per discutere di «nuove possibilità di collaborazione» tra i due Paesi (Andrea Riccardi); di sostenere prima che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è un «totem» da abbattere e poi che no, a pensarci bene nell’elenco delle riforme da fare «arriva per ultimo» (Elsa Fornero); di andare a Mosca per l’anno italo-russo della cultura (Lorenzo Ornaghi). Alle prese con simili impegni, non uno dei ministri è ancora riuscito a dare pubblicamente conto del proprio patrimonio. Né si ha idea di quali siano le «migliori pratiche internazionali» alle quali Monti intende attenersi. Quel poco che si è visto sinora, anzi, va in direzione opposta all’annuncio del premier. Il sito del ministero per la Pubblica amministrazione, ad esempio, in base alle norme sulla trasparenza volute da Renato Brunetta, indicava il reddito del ministro, dei componenti dello staff e dei dirigenti del ministero. Tra questi, fin quando era stato capo di gabinetto, e cioè sino al marzo 2009, c’era anche l’attuale ministro Filippo Patroni Griffi, che rispettando la norma dichiarava un «emolumento accessorio» di 85mila euro, al quale si sommava un «trattamento economico fondamentale» ben più lauto, che però Patroni Griffi non riteneva fosse il caso di divulgare. Ad oggi, sul sito, non c’è traccia né di questo né degli altri obblighi di trasparenza che incombono sul ministero. Il surreale risultato è che se degli emolumenti del dirigente Patroni Griffi si sapeva qualcosa, di quelli del ministro Patroni Griffi non si sa nulla. E dire che la legge n. 69 del 2009, per la quale «ciascuna delle pubbliche amministrazioni (…) ha l’obbligo di pubblicare nel proprio sito internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici ad uso professionale dei dirigenti», è sempre in vigore. E riguarda tutti i rami della Pubblica amministrazione, mica solo il ministero che fu di Brunetta. Ma in molti casi il cambio di governo pare essere stato l’occasione buona per abrogare in modo surrettizio la norma. La trasparenza latita anche nel caso di Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione nonché presidente del Consiglio nazionale delle Ricerche, ente pubblico sottoposto proprio alla vigilanza del ministero dell’Istruzione. Per questo secondo incarico non prende stipendio e ha girato ogni delega alla vicepresidente, Maria Cristina Messa. Però il conflittuccio d’interessi resta, chiaramente perché Profumo intende riprendere il posto alla guida del Cnr una volta che l’esperienza di governo sarà finita. Il problema, a dirla tutta, è che un’operazione trasparenza sui patrimoni come quella annunciata assieme alla manovra ha senso solo se la si fa subito. Perché il suo scopo è indurre il contribuente a credere quantomeno nella correttezza di chi ha provveduto a tartassarlo con imposte patrimoniali e altri balzelli. Ma in un lasso di tempo come quello già trascorso sarebbe stata operazione facilissima, specie per chi qualche rapporto con le banche lo ha, intestare quote di patrimonio ai propri congiunti o ad altri soggetti. È una eventualità teorica, beninteso. Ma è proprio per mettersi al di sopra di ogni sospetto teorico che serve la pubblicazione dello stato patrimoniale dei ministri. Fatta dopo tanto tempo non ha più molto senso. Sarà comunque interessante vedere quanto impiegheranno ancora Monti e i suoi a rispettare l’impegno. Prendere sotto gamba una simile promessa, come sembra stia avvenendo, mal si concilia con quell’immagine di sobrietà e affidabilità alla quale i ministri sembrano tenere più di ogni altra cosa. di Fausto Carioti