Il miracolo di Mario Monti: l'inciucio tra Pdl, Pd e Udc
Popolo della libertà e Partito democratico sono d’accordo su una cosa sola, ma è la più importante di tutte: un altro anno e mezzo così, trascorso a donare sangue al governo ricevendo in cambio pesci in faccia, non se lo possono permettere. E quindi: o in primavera presentano l’avviso di sfratto all’esecutivo dei professori, e prima delle vacanze si va a votare, o si riprendono il palcoscenico lasciando a Mario Monti, per quanto possibile, la parte più sgradita (le tasse, le nuove regole del welfare, i tagli alla spesa) prendendo per sé l’unica cosa utile che possono ricavare da una fase simile: riforme istituzionali tagliate su misura. Il cuore indica la prima strada, la testa porta alla seconda. La manovra non è stata digerita dal partito di Silvio Berlusconi e i 23 deputati assenti al voto di venerdì parlano chiaro. Sarebbero stati molti di più se il povero Fabrizio Cicchitto, capogruppo a Montecitorio, non avesse provveduto a recuperarli uno per uno. Stavolta ha funzionato, anche perché in aula il segretario Angelino Alfano, rivolto a Monti, aveva provveduto a fissare i paletti: se il governo metterà nuove tasse solo per fare un favore ad Angela Merkel e a Nicolas Sarkozy, il partito azzurro non potrà seguirlo. Ma la prossima volta potrebbe non essere così semplice. Specie se Monti proverà a scostarsi dallo stretto mandato che gli ha dato il Pdl, limitato alla salvezza economica dell’Italia. «Abbiamo ingoiato l’olio di ricino delle tasse. E va bene. Ma che c’entrano il decreto svuota-carceri della Severino e la nuova legge sulla cittadinanza agli immigrati che Riccardi freme per introdurre?», si sfoga un pidiellino che sino a poche settimane era uno dei sottosegretari più in vista. Concludendo: «Se Monti pensa che siamo disposti ad ingoiare anche cose simili, sbaglia di grosso». Nel Pd le cose non vanno molto meglio. Tanto che l’altro giorno Pier Luigi Bersani, per tenere buoni i suoi, ha dovuto promettere in aula che il vero «orizzonte» del partito è «l’appuntamento elettorale». Frase che però ha fatto rivoltare i popolari rimasti nel Pd, fedelissimi a Monti e all’alleanza con il terzo polo. Uno di loro, Giuseppe Fioroni, ha avvertito che «quella di Bersani è stata un’espressione non felice». Il problema, per il segretario del Pd e gli altri che sognano il voto anticipato, sono i 140 miliardi di titoli di Stato che saranno messi all’asta tra febbraio e aprile. La vera assicurazione sulla vita del governo è questa. Lo sa bene Pier Ferdinando Casini, il quale ogni giorno lo ricorda gli interessati: «Nessuno è così pazzo e irresponsabile da provocare elezioni anticipate, rischiando di compromettere i risparmi degli italiani e provocare la bancarotta del paese». Piaccia o meno, il discorso di Casini è sensato. Così diventa sempre più probabile il “piano B”: le riforme. Iniziando da quella elettorale, perché per il resto occorre mettere mano alla Costituzione, e i tempi per fare una cosa simile sono già stretti. A gennaio è atteso il verdetto della Corte costituzionale sull’ammissibilità del referendum elettorale voluto dall’Idv e da alcuni esponenti del Pd. Ma i partiti non intendono farsi trovare impreparati. Contatti tra Pdl e Pd sono già stati avviati: si punta a iniziare la discussione in Parlamento da febbraio, adottando come “testo base”, modificabile ma non stravolgibile, qualcosa di molto simile al cosiddetto “Vassallum”, sul quale era stata trovata l’intesa alla fine del 2007, prima che cadesse il governo Prodi. Si tratta di un ibrido tra il sistema tedesco, che piace soprattutto all’Udc e a parte del Pd, e quello spagnolo, gradito a Pdl e Lega. In sostanza, metà deputati sarebbe eletta in collegi uninominali e l’altra metà verrebbe scelta con criterio proporzionale, anche se i cittadini voterebbero una sola scheda. Il risultato privilegerebbe i grandi partiti a discapito di quelli più piccoli che non hanno forte radicamento sul territorio. Un ottimo modo per polarizzare i Parlamenti futuri attorno a Pdl e Pd, che non sarebbero più obbligati ad accordi conflittuali con Lega, Idv e partitini vari: le alleanze, semmai, le deciderebbero dopo il voto. Il problema è che un simile sistema non piace all’Udc, che è parte della coalizione di governo, e rischia invece di avvantaggiare la Lega, essendo questa concentrata al Nord. Da qui la domanda: quali sono le forze che debbono partecipare alla scrittura della nuova legge? Gli attacchi quotidiani lanciati da Lega e Idv stanno convincendo Pdl e Pd che l’unica maggioranza autorizzata a fare la riforma elettorale è quella che sorregge Monti. Quindi occorre trovare il modo di tenere dentro Casini, e pazienza se a rimetterci sarà il Carroccio. Tecnicamente, si tratta di spostare il baricentro della nuova legge verso il proporzionale alla tedesca. Politicamente, si tratta di chiudere un’epoca e dar vita nientemeno che alla Terza Repubblica. Con la speranza che sia un po’ meno brutta di quelle che l’hanno preceduta. di Fausto Carioti