Cav preoccupato dalla Lega: così ruba voti agli azzurri

Andrea Tempestini

Si stropiccia l’occhio fino a farlo diventare tutto rosso. «Me lo sono massaggiato troppo forte», scherza Berlusconi lasciando Montecitorio, «alla mia età sono cose che succedono...». Gesto compulsivo dovuto al nervosismo? Questo no, ma Silvio è un filo in apprensione. Per il rapporto con la Lega; per il suo partito; per le proprie aziende. «Il Carroccio fa il suo gioco, vuole aumentare il proprio bottino elettorale», così il Cavaliere spiega ai giornalisti tutta l’ostilità dei lumbard verso il Popolo della Libertà. Minimizza. Ma con i deputati azzurri l’ex premier fa un ragionamento più politico, più profondo. E’ mattina quando Berlusconi arriva alla Camera per votare la fiducia al governo. Inizia la chiama dei deputati, Silvio intrattiene  un capannello di onorevoli con discorsi di scenario: «Bossi non ha una strategia, non si sa cosa voglia fare», Silvio allude al dualismo tra Maroni e i componenti del “cerchio magico”. Lo sgarbo padano che più ha dato fastidio è stata la firma dell’ex ministro dell’Interno sull’ordine del giorno (approvato) per l’annullamento del beauty contest e l’assegnazione delle sei frequenze della tv digitale a titolo non più gratuito ma con asta onerosa: l’iniziativa tocca gli interessi di Mediaset e Berlusconi se l’è legata al dito. Furioso con i leghisti, ma anche con il governo, che ha dato parere positivo all’ordine del giorno: «È un’imboscata!».     Il fatto è che a via Bellerio è gara a chi la spara più grossa, a chi prende più le distanze dall’uomo di Arcore. Ma per andare dove? Silvio analizza l’opzione più catastrofica, la fine della coalizione vittoriosa nel 2008: «Alle Amministrative abbiamo la possibilità di un accordo con l’Udc, ma non è detto che basti per vincere». Stare all’opposizione paga («La Lega al Nord prende i nostri voti, cresce del 2 per cento, mentre Pdl e Pd perdono l’1 per cento»), ma neanche poi tanto: «È l’antipolitica che attrae consenso in questa fase. Se alle elezioni si presentassero i pm di sinistra», Silvio fa, tra gli altri, i casi di Woodcock e Ingroia, «prenderebbero un sacco di voti». E chissà se è di questo che parlavano Tonino Di Pietro e Niccolò Ghedini, improbabile coppia di interlocutori intravista in un infratto nascosto del Transatlantico. Ma i problemi di Berlusconi sono altri. Le aziende: «Questa crisi mi sta rovinando», si è lamentato l’ex presidente del Consiglio, «il mio gruppo sta perdendo valore». Silvio ha anche fatto riferimento a un possibile risarcimento milionario, imposto dalla Corte di giustizia europea, per la vicenda dei decoder digitali. E poi c’è la faccenda, menzionata, del beauty contest. L’altra angoscia ha un acronimo: Pdl. Alla prova della fiducia, agli azzurri mancano 32 voti, tra assenti, astenuti e contrari. Tanti malpancisti. Troppi. «Il Pdl non è diviso», si affretta a precisare Berlusconi, «alcuni deputati ci hanno chiesto la possibilità di dare un voto di astensione e qualcuno di votare no». Però tra i banchi del partito di maggioranza relativa c’è tanta confusione. Ed è in arrivo il caso Cosentino, il voto sull’arresto del coordinatore campano del Pdl. Ieri pomeriggio Silvio ha ricevuto il suo uomo a Palazzo Grazioli. A quanto pare, l’Aula dovrebbe esprimersi sulla richiesta della procura di Napoli (custodia cautelare) non prima di metà gennaio. Nel partito, però, è già caos per la successione. Silvio? Cerca di tenere tutti uniti. I suoi, certo, ma soprattutto gli ex An: «Vi sono piaciuto su Mussolini?», ha chiesto divertito ad alcuni deputati postmissini rievocando la frase sul fascismo “democrazia minore”. Intanto però perde pezzi: Stefania Craxi se ne va e il leader ci rimane male: «Sono amareggiato, conosco la sua storia, ero amico di Bettino...». È sera. Il Cavaliere torna a Montecitorio  per ascoltare l’intervento di Monti. Scoppia il caso. Il premier replica piccato alle parole berlusconiane del giorno prima («Monti è disperato») riportate dai giornali. Silvio reagisce sorridendo. Ma è una smorfia amara. «Non ha capito nulla, io mi riferivo alla difficoltà di stare al governo con questa Costituzione. Che permaloso...». È la scintilla. Decine di deputati vanno da Berlusconi in processione. Parlano di «caduta di stile del premier». Alcuni ipotizzano una rappresaglia parlamentare contro una manovra che, mediamente, fa ribrezzo  un po’ a tutti gli onorevoli di via dell’Umiltà. Monti percepisce la tensione e corre ai ripari con un bigliettino chiarificatore. Del tipo: ho capito il senso delle tue parole, non volevo polemizzare. Prende la parola Angelino Alfano in dichiarazione di voto. È diretto:  «Presidente, le consiglio di non farsi dettare l’agenda dai giornali se vuole andare lontano con il suo governo». Poi la gestualità a distanza tra Berlusconi e Monti chiude il caso. È pace. Forse.     di Salvatore Dama