Negli Stati Uniti tempo di tagli Anche il boia va in pensione
Dove non arriva l’imperativo etico del “non uccidere”, può farcela il ragioniere che tiene i conti delle spese di una condanna a morte portata a termine. In California è stato calcolato che per le 13 condanne eseguite, i cassieri dello Stato hanno dovuto sborsare 4 miliardi di dollari, ossia 307 milioni a testa. Un lusso che in questi tempi di crisi suona sconveniente, specialmente nello Stato con le tasse più alte e con il buco fiscale più profondo d’America. Così gli attivisti contrari per principio pensano di approfittare del momento per lanciare un referendum per la cancellazione della legge pro-pena capitale che si terrà in contemporanea con le elezioni presidenziali del 2012. «Sempre più elettori stanno capendo che la pena di morte è molto costosa, e sanno peraltro che in California siamo nel mezzo della crisi più grave della nostra storia», ha detto a Politico.com Natasha Minsker della SAFE California Campaign, il gruppo che ha già raccolto finora 240 mila firme per lanciare la sfida dell’urna. La legge che ristabilì la massima punizione 33 anni fa, infatti, decise anche che poteva essere abolita soltanto con un referendum popolare. Poiché il numero di firme richiesto è di 504 mila, alla SAFE sono ottimisti. Anche se può suonare controintuitivo, i costi iperbolici di una esecuzione, paragonati alla “normale” detenzione di un ergastolano, si spiegano con le maggiori spese legali dei processi speciali che riguardano i casi in cui può essere applicata la condanna a morte, con gli appelli e contro-appelli previsti, la logistica specifica e più cara dei bracci della morte, i costi sanitari per i condannati, che comunque passano molti anni, a volte decenni, dal momento del processo all’appuntamento con la siringa letale, ed infine le spese vive, dottori e medicine, per la stessa esecuzione. Oltre che in California, gli abolizionisti si stanno attivando in diversi altri Stati, dove stanno facendo pressioni e costruendo alleanze con i parlamentari locali per arrivare all’obiettivo della cancellazione delle leggi vigenti che prevedono la condanna capitale, o almeno alla moratoria della pratica, come è avvenuto nell’Oregon di recente grazie alla decisione del governatore John Kitzhaber. Tra gli Stati dove il movimento è allo stadio più avanzato ci sono il Maryland, il Kansas, l’Ohio e il Connecticut. Ovunque, a dare una spinta all’opinione pubblica in direzione contraria alla pena di morte è il fattore del costo a carico dei contribuenti, che interviene sempre di più nella valutazione del pro e del contro. A livello nazionale, i sondaggi stanno registrando il raffreddamento del tradizionale favore per la punizione estrema che è sempre stato indiscutibilmente maggioritario, al punto che anche i democratici si sono dichiarati sostenitori della pena di morte nella campagna del 2008. Dopo il controverso caso della esecuzione di Troy Davis del settembre scorso, il supporto per la pena di morte è sceso, secondo una rilevazione Gallup, al 61%, tre punti in meno del 64% del 2010. E solo poco più della metà degli americani, il 52%, ritiene che la pena sia applicata in modo giusto e corretto, sei punti in meno del 58% di un anno fa. di Glauco Maggi