I prof del governo sbagliano: niente tasse sui soldi scudati
Tecnici contro tecnici. La cosa accade con regolarità ad ogni manovra finanziaria. Ma questa volta le critiche al provvedimento formulate dagli esperti del servizio bilancio della Camera dei deputati fanno un po’ sorridere, visto che alla guida del governo sono arrivati i professoroni delle più quotate università italiane. Possibile che siano inciampati sul loro stesso terreno? Stando a quanto scrive l’ufficio tecnico di Montecitorio il rischio che i conti siano sbagliati è più che concreto. E il sospetto viene, dal momento che nel mirino è finita la norma su cui più di un osservatore ha sollevato dubbi e perplessità. Le obiezioni della Camera riguardano infatti lo scudo fiscale. Un’imposta che «potrebbe non trovare applicazione sul complesso dei capitali già emersi», visto che il contribuente potrebbe avere investito in altre attività o potrebbe avere «spostato la sua posizione presso un altro intermediario. In quest’ultimo caso in cui il vecchio intermediario non ha la provvista e il nuovo non ha la dichiarazione riservata (dei capitali regolarizzati) non appare chiaro quale debba essere il sostituto di imposta». In altre parole, che ci assicura che si riusciranno a pizzicare tutti coloro che, protetti dall’anonimato, hanno fatto rientrare i denari per chiedergli un altro 1,5% di tassa? Il dubbio, in effetti, è venuto un po’ a tutti. Considerato anche che chi nasconde i soldi nei paradisi fiscali non è proprio uno sprovveduto che si accomoda in attesa che il fisco venga a riscuotere. Il governo, sul punto, ha sempre mostrato grande sicurezza. Il premier Mario Monti ha affermato che la misura è ben studiata e il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, ha spiegato che il problema dell’anonimato non si pone, perché gli intermediari finanziari conoscono bene i loro clienti e saranno proprio loro a rintracciarli. L’idea, insomma, è quella di trasformare le banche in sostituti di imposta. Nel caso gli interessati non abbiano intenzione di pagare, l’intermediario farà partire la denuncia all’agenzia delle entrate. A quel punto il cliente perderà l’anonimato e il fisco farà scattare le cartelle esattoriali. E se sia la banca sia il cliente non collaborano o se è materialmente impossibile risalire all’operazione? Anche in questo caso il governo è convinto di poterla avere vinta, utilizzando l’anagrafe tributaria, dove tutti gli intermediari riversano periodicamente le informazioni sulla clientela. Il problema, come Grilli e il premier Monti sanno bene, visto che di grande fratello fiscale si sono occupati anche nella manovra, è che i flussi informativi dalle banche all’anagrafe tributaria voluti dall’allora ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, nel 2007, vanno a ritroso solo fino al 2005. Ma la norma che, lo ricordiamo, prevede di far entrare nelle casse dello Stato un gettito aggiuntivo di 2,19 miliardi con un’aliquota dell’1,5%, riguarda i 182,5 miliardi rientrati con i tre scudi fiscali del 2001,2003 e 2009-2010. Passi, dunque, per l’ultimo scudo. Ma quelli del 2001 e del 2003? Nascono da qui le preoccupazioni dei tecnici della Camera, che puntano pure il dito sulla violazione delle norme che hanno finora, come era inevitabile che fosse, protetto gli scudati. Nel dossier del servizio bilancio si evidenzia anche «la necessità di acquisire chiarimenti circa la compatibilità di tale segnalazione con la garanzia di anonimato delle dichiarazioni di emersione delle attività da parte degli intermediari nei confronti dell’amministrazione finanziaria, prevista dalla normativa vigente, ala fine di escludere effetti pregiudizievoli sulle maggiori entrate ascritte alla norma in esame». Insomma, gli scudati possono anche essere degli evasori che vanno spremuti come limoni, ma se ci sono precedenti leggi dello Stato che impediscono di farlo, delle due l’una: o si modificano o si rispettano. La questione rischia di diventare una bella grana per Monti, considerato che proprio sui capitali scudati si stanno concentrando le maggiori attenzioni per recuperare le risorse necessarie a smussare altri spigoli della manovra, in particolare i tagli alle pensioni più basse e l’Ici sulla prima casa. Si ragiona, nel dettaglio sul raddoppio (dall’1,5 al 3%) del prelievo sui capitali scudati. Cosa che farebbe salire a 4 ed oltre miliardi il gettito che secondo i tecnici della Camera è a rischio di copertura. Senza contare i problemi che potrebbero sorgere sostituendo entrate strutturali con misure una tantum. Sempre il servizio bilancio fa notare che «andrebbe acquisito un chiarimento dal governo sui possibili effetti in termini di indebitamento netto strutturale». L’idea di accanirsi contro gli scudati, del resto, per quanto di difficile applicazione, piace più o meno a tutti. Anche alla Cgil, che chiede l’aumento dell’aliquota pur non ignorando le indicazione di Montecitorio. «Quali tecnici avranno ragione: quelli della Camera o quelli del governo?», si chiede il sindacato. di Sandro Iacometti