Pensioni, casa e lavoro: Bersani con le spalle al muro

Giulio Bucchi

Adesso arriva il bello. O il brutto, dipende dai punti di vista. Come giustificare di fronte ai propri elettori il sostegno al governo di Mario Monti, quello della stangata su pensioni, casa e, in ultimo, portafogli? Sta tutto qui il dilemma della sinistra e del Pd. Un dilemma prevedibile già da qualche settimana, perché il governo dei banchieri e dell'alta finanza non poteva promettere molto di buono. Ma con la manovra "salva-Italia" sotto il naso, per il segretario Pier Luigi Bersani è arrivato il momento della resa dei conti. Con i suoi, più che con il premier. Pensioni, scudo fiscale (un premio agli evasori fiscali, si è detto da più parti), mattone: mazzate soprattutto per il ceto medio e le fasce più deboli, alla faccia dell'equità. Senza contare la probabile riforma del lavoro, con la modifica all'articolo 18 da sempre tabù della sinistra. "Bisogna migliorarla, così non va", ha sottolineato Bersani, cui ha fatto eco il suo predecessore Walter Veltroni: "Servono correttivi". Risultato? Tutti e due voteranno sì a Monti più per disciplina (di crisi, non di partito), che per convinzione. Ma intanto si aprono fronti interni pericolosissimi in vista del ritorno alle urne. Nichi Vendola, che ha le mani slegate (Sel non è in parlamento) si è detto decisamente contratrio alle misure di Monti. Lo stesso ha fatto Tonino Di Pietro: l'Idv, con la Lega, è il solo partito dichiaratamente all'opposizione. E i sindacati, Cgil in testa, preannunciano scioperi, mobilitazioni, contestazioni. Con queste forze, tutte all'interno della sinistra, il Pd dovrà fare i conti. Una sfida ancora più difficile che accettare le lacrime e sangue del professore.