La ricetta di Libero: basta con le manovre, uccidono la nostra economia (Bechis)

Andrea Tempestini

Saxa Rubra, nove e mezza di ieri mattina. Sta per iniziare su Rai Uno un dibattito sulla situazione politica ed economica con Maurizio Lupi e Francesco Rutelli. Fuori dagli studi, una signora di mezza età, che è lì per truccare gli ospiti prima della trasmissione, sussurra timida: «Secondo me l’unica oggi è ritornare a Keynes». A John Maynard Keynes, l’economista? «Sì, a lui. Che in fondo diceva una cosa semplice: per battere la crisi e crescere, c’è bisogno di avere più soldi in tasca». La truccatrice Rai sa dunque quel che dice: «Beh, leggo Il Sole 24 ore che qui spesso dimenticano in studio, e anche molti altri giornali…». Bisognerebbe mettere quella signora al ministero dell’Economia, e forse anche al posto di Mario Monti. Perché sarà pure timida, ma sa il fatto suo. E con una battuta ha centrato proprio il tallone di Achille di questa Italia da troppi mesi messa con le spalle al muro. Sì, Keynes, e la sua ricetta elaborata dopo il grande crack dell’economia mondiale nel 1929. L’economista è passato di moda, e nelle università si studia ormai come un pezzo di antiquariato, un rottame delle teorie economiche che hanno fatto ben altri salti. E - appunto - ci hanno portato negli ultimi anni in una congiuntura che più di un parallelo offre con quel drammatico 1929. L'ERRORE FATALE La signora al trucco ha in una sola battuta spiegato quale errore stiano facendo tutti da molti mesi. Lunedì Monti e la sua squadra di ministri tecnici vareranno la quarta manovra finanziaria da luglio ad oggi: prima la finanziaria triennale, poi la stangata di agosto sotto schiaffo dei mercati e con la regia della Bce, un mese fa la legge di stabilità concordata con la Ue. Se le indiscrezioni della vigilia saranno confermate, in sei mesi il salasso imposto all’Italia fino al 2014 ammonterà a circa 90 miliardi di euro. Tutte manovre depressive, perché sarà pure in gioco l’equità, ma ovunque ti giri vedi solo tagli. Accompagnati da piagnistei e lezioni cattedatriche sull’Italia che non cresce. Vero: il Pil è fermo e tutti prevedono per il 2012 una recessione. Mettendo - come sta per avvenire - nuove tasse, la caduta del Pil sarà inevitabile. Perché la ricetta semplice semplice della truccatrice Rai non è venuta in mente a nessuno: per fare crescere, bisogna mettere più soldi in tasca alla gente e alle imprese, non portarglieli via sia pure sotto la bandiera dell’equità. Perché il Pil salga, bisogna che gli italiani lavorino e consumino. L’esatto contrario di quel che hanno provocato le tre manovre già varate e la quarta in preparazione. In questi giorni abbiamo sentito girare molte ipotesi sulle pensioni. Fra le più gettonate, quella che prevede il blocco della rivalutazione automatica degli assegni previdenziali che serve a recuperare il potere di acquisto picconato da un’inflazione tornata a salire. Una misura così sarebbe solo depressiva, perché per fare crescere l’Italia bisognerebbe fare l’esatto contrario: aumentare il reddito a disposizione dei pensionati, che hanno alta propensione al consumo pur avendo piccole somme a disposizione. RICETTA ALTERNATIVA In questo momento per crescere servirebbe l’esatto opposto di quel che si mette nelle manovre finanziarie varate e in preparazione. Servirebbe più e non meno spesa pubblica, sia pure indirizzata intelligentemente sugli investimenti. Servirebbe un alleggerimento della pressione fiscale in modo da fare aumentare realmente (e non per finta come è accaduto con gli acconti Irpef di novembre) il reddito a disposizione delle famiglie. Servirebbe una tregua fiscale anche alle imprese, e non una caccia cieca ai patrimoni. Senza soldi in mano non si cresce. Con nuove tasse e tagli dei redditi disponibili pubblici e privati, si arretra. Ogni tempo ha le sue ricette economiche, e questo è il tempo delle truccatrici Rai. Certo, bisognerebbe avere autonomia di governo e una libertà che oggi non sembra più a disposizione perché l’Italia è commissariata dai mercati, dalla Germania e un po’ anche dal tipo di esecutivo cui è stata costretta a consegnarsi. Mai come oggi è stato evidente che quella scommessa sulla libertà e sulla crescita che fu fatta nel 1998 quando l’Italia entrò nella moneta unica, è fallita, rinchiudendo questo paese in una gabbia. Anche stretti così, un po’ è ancora possibile muoversi. Con margini davvero risicati. Si può farlo solo ammainando ogni bandiera ideologica e guardando in faccia la realtà. Fra le pochissime strade che consentono risparmi allo Stato senza uccidere l’economia di un paese c’è l’innalzamento immediato dell’età pensionabile. Non riduce il reddito a disposizione delle famiglie (anzi, il contrario) e dà allo Stato benzina che potrebbe essere rimessa in circolo. Abbandonare questa sola possibilità per paura di qualche contrasto sindacale, sarebbe follia. di Franco Bechis