La Casta ci prende in giro Paghiamo le sue pensioni
Non saranno lacrime e sangue, ma qualche sacrificio toccherà anche il portafoglio dei nostri parlamentari. Peccato che il loro “sacrificio” potrebbe costare ai contribuenti l’ennesimo salasso. Se ne è accorto il vicecapogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera, Antonio Borghesi. Conti alla mano Borghesi ha scoperto che il sistema contributivo adottato per i vitalizi dei parlamentari verrà a costare 25 milioni di euro in più. E questo perché, se è vero che i signori senatori e gli onorevoli dovranno sborsare (o meglio rinunciare) al 10% per coprire i contributi, il “datore di lavoro”, ovvero il ramo parlamentare di competenza, dovrà tirare fuori almeno il 20% che manca. «Dal prossimoanno», spiega nel dettaglio il deputato dell’Idv, «con il passaggio al sistema contributivo i contribuenti italiani dovranno sopportare un ulteriore onere di circa 25 milioni di euro all’anno, per la quota contributiva a carico del Parlamento (due terzi dei contributi)». «Il sistema adottato da Camera e Senato», spiega, costringerà il «Parlamento a sostenere ogni mese, e per ogni parlamentare, un costo di circa 2.000 euro: ciò darà luogo alla erogazione di un vitalizio da parte dell’Inps, a partire dal compimento dal 65° anno in poi, di circa 1.500 euro mensili». Sarà pure, come sostiene il presidente del Senato, Renato Schifani, che si è voluto «dare un segnale al Paese», «che il Parlamento è pronto a dare un segnale di sobrietà e di rigore», però resta il macigno dei costi relativi dei diritti acquisiti. Un esborso che, sempre secondo i conti del focoso esponente della falange dipietrista, non è destinato a fermarsi. Infatti «con le nuove regole non si toccherà il passato e gli ex parlamentari continueranno a percepire lo stesso assegno ed in futuro anche coloro che, essendo attualmente in carica, cesseranno dal mandato. Dunque per almeno 20 anni i cittadini italiani dovranno sborsare non meno di 200 milioni di euro all’anno». Una bella botta, non c’è che dire.L’annuncio del cambio di regime è stato dato con tanto di gran cassa mediatica, ma la verità è che il sistema da adottare è tutt’altro che definito nei dettagli. Non a caso proprio questa mattina si riunirà a Montecitorio la Commissione incaricata di studiare una proposta di riforma dei vitalizi dei deputati. La Commissione, composta da un parlamentare per ciascun gruppo parlamentare così da rappresentare tutte le diverse sensibilità, è retta da Giuliano Cazzola (onorevole del Pdl e grande esperto di questioni previdenziali), e dovrà mettere in piedi una proposta concreta. Formulata la bozza la Commissione vitalizi si riunirà alla presenza dei questori della Camera per definire in un documento e una proposta di delibera. Ma non basta: infatti per l’entrata in vigore servirà anche l’approvazione del Collegio dei questori e, se Dio vuole, toccherà all’Ufficio di presidenza di Montecitorio mettere l’ultimo sigillo. Un po’ difficile che si possa entro i prossimi 30 giorni (il ministro del Welfare Elsa Fornero ha chiesto di chiudere la partita entro la fine dell’anno), tanto più che Antonio Mazzocchi, questore del Pdl, teme una ridda di vertenze: «Da avvocato devo dire che se un deputato è entrato alla Camera con un certo regime di vitalizi e vede cambiare le regole in corsa», mette le mani avanti, «potrebbe anche decidere di fare causa allo Stato. E da avvocato che credo che vincerebbe». C’è chi fa causa, o potrebbe aprire un contenzioso legale, e chi sta riflettendo se non è il caso di dimettersi prima dell’eventuale approvazione della norma. Con le dimissioni immediate varrebbe infatti il vecchio regime per ottenere il vitalizio, facendo marameo alle nuove (eventuali) norme. Ma la carta dimissione potrebbe essere presa solo da chi ha già maturato il diritto e non dai 300 che devono aspettare il compimento dei 4 anni, 6 mesi e un giorno di legislatura, vale a dire attendere il prossimo giugno. Sempre che l’Aula non le respinga... di Antonio Castro