Smascherate Le rivelazioni della De Gregorio Concita ammette: faceva la velina rossa
Con la classe che la contraddistingue, ieri mattina l’ex direttore dell’Unità, Concita De Gregorio, è tornata sul vespaio suscitato dalle sue accuse lanciate dal palco dell’aula magna dell’Università di Pisa durante un convegno: «Il Pd perse di proposito le elezioni regionali in Lazio del 2010 per favorire la candidata di Fini e quindi aiutare lo stesso presidente della Camera Fini nella sua battaglia contro Berlusconi per spaccare il Pdl». Dai microfoni di Radio 3, ospite per una rassegna stampa, la maestrina dalla penna rossa per prima cosa si è dichiarata «stupefatta dei livelli di ipocrisia di certi giornali italiani». Lo siamo anche noi, ma temiamo di non avere in mente proprio gli stessi giornali, né di condividere con lei il significato della parola «ipocrisia». Come si è poi capito dal resto della prolusione, infatti, l’ipocrisia sarebbe quella di aver fatto da cassa di risonanza alle sue parole e i «certi» giornali sarebbero poi Libero, il Giornale, Europa e il Manifesto, che hanno osato occuparsi dello scoop a scoppio ritardato, considerando appunto una notizia il fatto che già due anni fa ci fosse un accordo segreto in chiave anti Cavaliere (e anti elettori del Pdl) tra Fini e il Partito democratico. In particolare, ma chi l’avrebbe mai detto, la De Gregorio ce l’ha con i primi due quotidiani, che hanno dato «la stura a commenti volgari». Nessuna sorpresa: è chiaro che i nostri commenti debbano necessariamente essere «volgari», mentre i suoi non possano che risultare «eleganti» e probabilmente anche «sobri», secondo gli ultimi dettami del pensiero unico. È una questione di differenza antropologica che la collega razzista a sua insaputa ha avuto modo di argomentare su Repubblica – carta, penna e saliva - in occasione dell’insediamento del governo Monti. Non vale la pena di perderci troppo tempo. Più interessanti sono altre parti della sua arringa autodifensiva. Intanto spiega con un certo disprezzo che l’«altissimissimo» dirigente del partito che le rivelò la scabrosa faccenda non era Fioroni, bensì «qualcuno di molto più autorevole». Il cerchio si stringe. Chi fu: Bersani? Franceschini? La Rosy Bindi? D’Alema? Concita non lo dice: roba da cronista, troppo banale per lei. Troppo volgare. In compenso aggiunge un dettaglio: i capibastone del Pd non si limitavano a non sostenere la candidatura della Bonino. No, remavano proprio contro: mandavano fax nelle sezioni del partito raccomandando di non fare eccessivi sforzi. Prova che all’intesa con Fini tenevano in modo particolare. Fu in seguito a quei fax che la De Gregorio andò a chiedere lumi all’«altissimissimo» e, incassata la spiegazione, tornò bel bella al quotidiano fondato da Gramsci. Attenzione, perché adesso l’arrampicata sugli specchi diventa veramente spettacolare. A Pisa, sostiene Concita, non era la prima volta che parlavo dell’argomento: «L’ho fatto già allora, al giornale che dirigevo, scrivendo editoriali e cercando di contrastare quella politica che non condividevo. Carta canta». E uno subito si precipita a spulciare le raccolte dell’Unità, maledicendosi per non aver colto già allora, nella prosa della direttora, la ghiotta notizia. Fatica sprecata. Era una bufala: dell’accordo Bersani-Fini, del gioco a perdere in Lazio non ha scritto una riga. È la stessa De Gregorio a confessarlo un attimo dopo: «Se allora, in piena campagna elettorale, avessi denunciato una rottura all’interno della coalizione avrei fatto un danno enorme alla Bonino nella quale io credevo». Quindi, muta. «Se avessi fatto come i colleghi del Fatto, di Libero o del Giornale, e avessi denunciato la cosa, avrei fatto un danno alla campagna di Emma, al Pd e al quotidiano che dirigevo», piagnucola ancora la De Gregorio. È tutto chiaro: è la differenza che passa tra un giornale di partito e giornali d’area ma liberi di «fare danni» anche nel proprio campo, come dice lei, o di dare le notizie, come diremmo noi. L’importante è capirlo. L’importante è non pretendere poi di andare a Ballarò a dare lezioni deontologiche ai colleghi. L’importante è non giustificare l’autocensura con queste imbarazzanti parole: «Ho fatto il mio mestiere di giornalista». No, cara Concita: quella volta non hai fatto la giornalista, ma la velina. Rossa e molto molto chic. Ma sempre velina. di Massimo De Manzoni