Siamo in recessione: cosa ci cambia
Un uragano dal nome vagamente femminile, ma più devastante anche dei vari Katrina e Irene. Si chiama recessione, il cataclisma più temuto da mercati e governi. Secondo l'Ocse si abbatterà sull'Italia nel 2012, e le sue consueguenze si sentiranno presto: aziende chiuse, fallimenti, disoccupazione, tagli ai servizi, credito quasi nullo, crisi di liquidità. Tutti effetti negativi, di fatto, già avvertiti ancor prima che il Pdl cali dello 0,5 per cento. Certo, i cicli finanziari insegnano che dopo la caduta c'è la risalita, ma per l'Italia c'è un problema. La difficilissima congiuntura politica e internazionale: la crisi dell'Euro, le diffidenze dei partner continentali, le pastoie partitiche interne. Impresa titanica - Per rispondere alla sfida della crescita e reggere il peso dei conti, il premier Mario Monti dovrà correre ai ripari. Già l'ondata di recessione che ha colpito il mondo tra 2008 e 2009, all'indomani della crisi dei mutui subprime (e che più o meno direttamente ha scatenato le rivoluzioni in Nord Africa), ha fatto crollare i Pil non solo del nostro Paese (-6,7%) ma pure di Germania (-6,6%) e Usa (-4,1%) e bruciato qualcosa come 14.500 miliardi di dollari. Adesso, però, la situazione è ancora peggiore: come scrive il Corriere della Sera, per tenere la barca a galla (mantenere cioè il rapporto tra debito pubblico e Pil al 120%), con tassi d'interesse al 6,7% e crescita nominale (inflazione compresa) del 3,6%, occorre avere un avanzo primario (prima del pagamento degli interessi sul debito) pari al 3,7%. Peccato che, con la recessione, queste cifre siano irraggiungibili: il surplus primario, infatti, viaggerà intorno al 5,6%. Due punti percentuali in più sul previsto, cioè trenta miliardi per non peggiorare il debito. Considerato che il rapporto tra debito pubblico e Pil al 120% per l'Ue è eccessivo, si capisce come l'impresa che attende l'Italia sia titanica.