Obama salva la vita ai tacchini Però si dimentica degli uomini

Lucia Esposito

Nell'America di Obama è meglio essere un tacchino che un detenuto. Ci sono, infatti, più possibilità di essere salvati dall'intervento del presidente se si hanno due zampe e una cresta. Barack Obama non brilla per la concessione di grazie e sconti di pena. Anzi, arranca all'ultimo posto nella classifica degli inquilini della Casa Bianca più clementi. Se si tratta di salvare un tacchino, invece, è sempre in prima fila. Oggi, come è tradizione, ne risparmierà addirittura due dai piatti degli americani che domani festeggiano la Festa del Ringraziamento, mettendo milioni di questi grossi pennuti all'interno dei loro forni. Obama sin da quando è diventato presidente ha preso sul serio la cerimonia del “perdono”. L'anno scorso i due “salvati” erano Apple e Cider, che avevano trascorso la notte della vigilia in un hotel della capitale. Fra le polemiche dei contribuenti che si sono chiesti perché buttar via soldi per due tacchini. Ma la Casa Bianca sotto la gestione di Barack e Michelle ci ha abituato a questo e altro, tutto all'insegna del biologico e del glamour. Dopo la presentazione alla stampa, ai due tacchini sarà garantita una lunga e prosperosa vita all'interno di un ampio recinto della tenuta di Mount Vernon, appartenuta a George Washington. Tutte queste attenzioni per due animali, e per gli uomini? Loro possono anche attendere, inutilmente, l'aiuto del presidente. Come è successo all'afro-americano Troy Davis, che ha rivendicato la sua innocenza fino all'esecuzione avvenuta lo scorso settembre, quando il boia di Jackson, in Georgia, lo ha fatto stendere sul lettino dell'iniezione letale. Contro la condanna si erano mobilitati in molti, fra cui papa Benedetto XVI, l'ex presidente Jimmy Carter, l'arcivescovo Desmond Tutu e numerosi esponenti politici e personaggi pubblici americani e internazionali. Davis era finito nel braccio della morte per l'uccisione nel 1989 a Savannah di un agente di polizia ma le prove presentate dall'accusa erano, dicono, inconsistenti. Nelle ultime ore prima dell'incontro col boia, il New York Times aveva ammonito che la sua esecuzione sarebbe stata «un terribile errore». E Obama che ha fatto? Ha detto di non voler interferire in una questione che riguardava le procedure di uno Stato dell'Unione, ricordando che il presidente può offrire la grazia solo a chi è stato condannato per reati federali. Ma in realtà non è così, come spiegano molti legali. Obama poteva intervenire chiedendo la sospensione della condanna e lanciando una sorta di ispezione federale. Ma non lo ha fatto. Del resto non è rinomato per la difesa dei diritti di chi si trova dietro le sbarre. Fino ad ora ha concesso solo 23 fra grazie e sospensioni di pena, a gente che si trovava in carcere per reati non gravi, come lo spaccio di piccoli quantitativi di droga. Nemmeno da paragonare con l'impegno mostrato dai suoi precessori. A partire dal criticato George W. Bush, che per 189 volte ha preso carta e penna per garantire il trattamento più umano o la scarcerazione di un detenuto. Il record spetta a Harry S. Truman, con 1913 “pardons”, seguito da Dwight Eisenhower (1110) e Lyndon Johnson (960). Fra l'altro, Obama aveva promesso di chiudere il carcere dei terroristi islamici di Guantanamo e invece nella base americana di Cuba si sta svolgendo il processo a Abd al-Rahim al-Nashir, accusato di aver organizzato l'attentato alla nave Uss Cole (17 morti), che rischia di finire di fronte al boia. L'unico che potrà salvarlo sarà proprio il presidente ma meglio che al-Nashir si prepari al peggio. di Alessandro Carlini