Paragone scrive al Senatùr: "Basta con la propaganda"
Lasciamo pure perdere per un attimo lo sfogo di Calderoli e concentriamoci su un tema: il federalismo serve ancora oppure è stato l’innamoramento di una lunga stagione politica? Questo tema mi sembra più importante della presenza o meno di un ministero dedicato, la cui istituzione nel governo Berlusconi fu dettata appunto dalla presenza stessa della Lega. Il federalismo è una riforma utile per un’Italia moderna oppure no? Questo è il punto. Io credo che lo sia e ne sono talmente convinto che proprio su queste colonne ho continuato a chiedere al Carroccio e al governo di osare più di quanto stessero facendo, puntando sugli enti locali senza segar loro le gambe. Adottare una struttura federale significava rivedere il bilanciamento delle competenze tra Stato centrale e enti periferici, significava cioè distribuire in maniera diversa (secondo nuove necessità e nuovi poteri) le risorse del gettito, secondo un impianto di tipo liberale. Meno centralismo - era il predicato della seconda Repubblica - significava meno sprechi, meno carrozzoni al traino, maggiore equità fiscale e altro ancora. Questo, ripeto, doveva essere il grande obiettivo da centrare. Purtroppo quindici anni dopo i passi in avanti in tal senso sono stati pochini. La riforma del titolo V fu approvata dal centrosinistra più per tattica che per strategia: con quella mossa l’allora Ulivo, sofferente, prima sperò di evitare l’accordo tra Bossi e Berlusconi alla vigilia delle Regionali del 2000, poi cercò di mettere le mani su un tema gradito al Nord allo scopo di racimolare qualche voto in più. Nulla di tutto questo: Bossi e Berlusconi tornarono assieme, vinsero quelle regionali così come le politiche successive. Il titolo V fu modificato in senso federalista. A quella mossa Bossi replicò con la devolution, formula ereditata dal modello scozzese: dopo gli anni hard della secessione, ecco la svolta più soft della devoluzione. Quella modifica costituzionale, inserita in un disegno più ampio (una delle cose migliori della lunga stagione bossian-berlusconiana), fu bocciata dai cittadini con il referendum. Tornato al governo, il centrodestra si rimise al lavoro e ripropose il federalismo fiscale come riforma urgente. Sappiamo com’è finita. Il riassunto delle puntate precedenti era quanto mai necessario per decifrare l’oggi. Se è vero che il Paese ha bisogno di riforme per uscire da una crisi che è globale ma anche locale (le debolezze tutte italiane accentuano le difficoltà e rallentano le soluzioni), va capito se la riorganizzazione dello Stato in senso federale ha ancora un senso o va archiviata. Il neo premier Mario Monti ha dichiarato di voler continuare sulla strada del federalismo fiscale. Bene, ma lo ha fatto per agganciare in qualche modo la Lega o il centrodestra o è davvero convinto che questa opzione sia giusta? E se così fosse, perché l’Udc stavolta potrebbe sostenere le decisioni del governo su quel federalismo fiscale finora rigettato? Capite che la politica deve uscire dall’equivoco di fondo e saper parlare chiaro. (Aggiungo, ma lo faccio tra parentesi, che nel mazzo di carte a sua disposizione, Monti avrebbe un jolly di prestigio, Piero Giarda, uomo di caratura pregiata tutt’altro che sprovveduto in fatto di federalismo. Il suo dicastero lo allontana però dalla questione essendo egli ministro per i rapporti col Parlamento). Un federalismo ben fatto e soprattutto senza troppe mezze misure sarebbe quanto mai utile. La Lega e il centrodestra farebbero bene a non perdere di vista quella stella. La riapertura del Parlamento del Nord ha il sapore della propaganda facile (un po’ scarica tanto più perché arriva dopo l’apertura dei tre finti ministeri a Monza), la Lega dica se quello è il capolinea oppure la fermata di una ripartenza. In tutti questi anni il Nord ha avuto una interlocuzione privilegiata, tuttavia non ha incassato il dividendo promesso. Beh, per dirla col linguaggio dei leghisti: la pazienza del Nord sta finendo, il rilancio dei capannoni necessita di uno Stato più snello con meno burocrazia. Necessita di uno Stato che annunci meno cambiamenti epocali e che al contrario approvi quel minimo di semplificazioni dettate dal buon senso. Mettendosi all’opposizione del governo Monti, il Carroccio dovrà dimostrare se questi anni al potere (sia nel governo centrale che nei vari governi locali) l’hanno trasformata in forza capace di… quagliare oppure se è prigioniera di quella formula - partito di lotta e di governo - passata ormai di moda. Alcuni dirigenti (Maroni, Zaia, Tosi per esempio) sono apprezzati da un pubblico largo per le loro capacità di governo. Quel patrimonio non va perso, soprattutto ora che nel centrodestra sono cominciati i lavori di ristrutturazione. Ci contiamo. di Gianluigi Paragone