Doveva fallire il sistema Italia Invece è fallito il Pd...

Lucia Esposito

Uno scambio di ostaggi, e forse alla fine (politicamente) entrambi morti. L’orrendo balletto sui nomi di Gianni Letta e Giuliano Amato, possibili padrini politici dell’esecutivo Monti che dovrebbe nascere stamattina, almeno una certezza l’ha portata, perfino in queste ore che ancora non dicono se i due (o uno dei due) saranno o meno nella lista. La certezza è che, in attesa di conoscere le sorti dell’Italia nei prossimi mesi, quelle del Pd sono, dopo la giornata di ieri, ai minimi termini. L’incidente sull’«ermafrodita» (come si è definito Amato) è fatto anche di sfortunate coincidenze temporali (la visita del segretario al Quirinale proprio mentre si diffondevano le voci sull’accordo raggiunto), ma al netto di queste resta un dato: il Partito democratico si vergogna di lui. Non vuole che, in caso di effettivo ingresso nell’esecutivo Monti, sulla fronte dell’ex premier sia appiccicata l’etichetta del Pd. Bersani e soci si industriano per dare l’impressione che sia tutta un’idea di Monti, impossibilitato a privarsi delle competenze del dottor Sottile. Le parole della capogruppo a Palazzo Madama Anna Finocchiaro sono un capolavoro: «Non c’è stato nessun giallo su Amato e Letta. Abbiamo detto sin dall’inizio che il Pd è favorevole a un governo a forte, alta caratura tecnica. La candidatura del presidente Amato non è del Pd». Il dubbio - Ma perché un partito si vergogna del suo fondatore? Il problema non è tanto in Amato, il cui nome pure non è esattamente balsamo per le orecchie di molti elettori, quanto piuttosto la sua contropartita: Gianni Letta. È assodato che Silvio Berlusconi si sia speso fino a tutto ieri per favorire la presenza della sua “ombra” nel nuovo esecutivo. Un Pd al governo col numero 2 del Cavaliere si esporrebbe un secondo dopo al fuoco di fila di alleati (Di Pietro in testa) pronti a denunciare l’orrore dell’inciucio. Non a caso l’ex pm, col terzo, spettacolare riposizionamento nel giro di 72 ore, ha ricominciato a fiutare l’aria e lanciato qualche strale sull’ipotesi. Per dire, ieri sera Sonia Alfano, europarlamentare Idv, ha accostato Monti alla criminalità parlando di «sprid» e «spritz» al posto dello «spread». Il risultato finale è stato che il Pd, partito in pole position col sostegno a Monti e con la spendibile tesi della responsabilità rispetto agli appelli del Colle malgrado i sondaggi favorevoli eccetera eccetera, in poche ore si è trovato a passare col cerino in mano nel ruolo di possibile ostacolo a un accordo ormai avallato anche dal Pdl. Ostruzionismo democratico Con l’aggiunta del fatto che Napolitano, premier non esattamente ostile a Bersani e soci, avrebbe addirittura rimproverato l’ostruzionismo democratico a pochi metri dal traguardo. Tutto questo senza entrare nel merito delle cose da fare: esaminando le quali, il vero rischio di fallimento per il Pd è digerire pilloloni inaccettabili per i suoi elettori (il programma della Bce è in larga parte quel che Berlusconi aveva promesso per anni), o di far saltare il gioco prendendosene le colpe. D’Alema direbbe che è un amalgama poco riuscito. Certo, c’è un’altra ipotesi: che il governo parta, faccia le riforme, il Pd le approvi (col Pdl), si trasformi in un movimento di sinistra liberale, si affranchi dalla Cgil fregandosene di Camusso e Vendola. Che nasca un bipolarismo maturo. Magari fumare fa bene. di Martino Cervo